Italo Borrello è di certo più che un appassionato della pipa, nella sua aura da vero gentleman, non manca mai il particolare dedicato a questo antico e affascinante manufatto. Uomo di grande eleganza ci ha regalato un suopersonalissimo contributo sulla pipa che pubblichiamo con grande piacere e interesse.
Buona scelta
IBD
Breve (e autobiografica) introduzione alla pipa
di Italo Borrello
Fumare è, senza dubbio, un piacere. Fumare la pipa è, tra i piaceri legati al fumo, uno di quelli che maggiormente appagano i sensi; esso regala, inoltre, il gratificante gusto della collezione, il vedere crescere, poco a poco, nel proprio fumoir, nel proprio salotto, nel proprio studio, gli esemplari di questo piccolo oggetto di legno, che spesso rappresenta un capolavoro del più fine artigianato.
Accostarsi alla pipa con vero interesse significa nutrirsi di indispensabile teoria, ma anche di febbrile ricerca empirica, e mescolare entrambe con quell’entusiasmo che non dà pace al neofita appassionato, che ogni conoscenza ed esperienza intende raggiungere e dominare.
Nel dedicare queste righe al piacere della pipa, non posso che attingere alla mia storia personale di fumatore e collezionista.
Mi accostai alla pipa quando avevo all’incirca venti anni, per ritrovare il profumo e il calore che fin da piccolo associavo alla figura di mio nonno, al quale la mia infanzia e la mia adolescenza sono indissolubilmente legate: la grande casa in cui i nonni vivevano mi accoglieva, ogni domenica, con gli acri e maschi sentori di sigaro toscano o con il dolce e avvolgente aroma dell’Erinmore; era, per me, il profumo della famiglia, il profumo dei giochi di una decina di cuginetti affiatati, il profumo di una figura austera ma capace di inaspettate dolcezze.
Con il passare degli anni, alla dolce evocazione di quei momenti si aggiunse il piacere che il fumo, in sé, mi donava. La passione per l’Inghilterra fece il resto. Associavo e associo tutt’oggi la pipa all’umida e nebbiosa bellezza di una campagna invernale, al ruvido calore di un tweed, a un Chester di cuoio in cui sprofondare, di sera, per raccogliere i propri pensieri o per sciogliere ogni tensione.
Ho avuto, poi, ottimi maestri: tra questi, Giorgio Musicò, dal cui negozio romano di Via S. Vincenzo, a pochi passi dalla Fontana di Trevi, proviene una buona parte delle oltre cento pipe che possiedo. Competente ed esperto fumatore, oltre che colto e mirabile conversatore, Giorgio mi ha iniziato veramente alla pipa. Il suo è un salotto piacevolissimo, nel quale si indugia volentieri. Il figlio di Giorgio, Massimo, è un eccellente artigiano e realizza bellissime pipe di foggia classica.
Un altro mio maestro è stato Michael Alden, gentiluomo inglese che governa con raffinata leggerezza il sito internet “The london lounge”, dedicato all’eleganza maschile. Ho avuto il privilegio di passare qualche serata con Michael e con Salvatore Parisi, affinando ulteriormente le mie conoscenze in materia di pipe e di tabacchi e consolidando, se mai fosse stato possibile, la mia passione.
Salvatore Parisi! Impossibile non considerare il Marchese Parisi un maestro per tutto ciò che riguarda il vivere elegante. Ineguagliabile conoscitore del sigaro Avana, di cui è collezionista di livello mondiale, Salvatore è il depositario di ogni possibile sapere concernente il mondo del fumo. Anche il fumatore di pipa non può prescindere dal considerarlo un riferimento.
Veniamo alla pipa: tra le prime che comprai vi erano due italianissime Savinelli e una danese Stanwell. Il tempo, l’esperienza, la particolare predisposizione intellettuale mi hanno però indirizzato quasi subito verso le pipe inglesi, che si distinguono per l’assoluta classicità delle forme. Tra le marche, spicca ovviamente Dunhill, il cui prestigio, che si traduce anche in prezzi elevati, rende tali pipe consigliabili solo quando si dispone di una certa esperienza. Il mondo inglese offre però altre ottime marche, come, ad esempio, Charatan e Parker. L’Italia vanta un’ottima tradizione in questo campo, con case storiche come la già citata Savinelli, Castello, Brebbia, Mastro de Paja, Caminetto, Ascorti, ecc. Molti sono anche i giovani che intraprendono la difficile arte del pipe-maker. Una menzione particolare merita Massimo Musicò, le cui pipe corrispondono pienamente ai canoni della tradizione britannica, distinguendosi per la linea sobria e per lo straordinario equilibrio.
A parte le marche, come regolarsi nella scelta della pipa?
La prima delle opzioni è senz’altro quella “dritta-curva”: la regola vorrebbe che la pipa curva, più capiente e impegnativa, venisse utilizzata in situazioni “statiche” (poltrona, scrivania, sedile dell’auto, ecc.), mentre la dritta, specie se non eccessiva nelle dimensioni, fosse destinata a contesti “dinamici”.
La pipa curva, spesso dotata di fornello più ampio e capiente, è generalmente più impegnativa, specie per chi si accosta alla pipa per la prima volta. Tende, infatti, ad accumulare umidità in misura maggiore. In linguaggio tecnico, tende a formare più “acquerugiola”, cioè quel deposito liquido prodotto dalla combustione del tabacco, che costituisce la “bestia nera” del fumatore agli inizi e, di solito, per via del sapore assai sgradevole, lo allontana definitivamente dalla pipa.
Memore degli insegnamenti di Salvatore Parisi, sento di poter affermare che in ogni momento della giornata vi è un formato preferibile: le pipe di ridotte dimensioni possono essere considerate “pipe da passeggio”, utilizzabili in tutte le situazioni in cui ci si trovi in movimento e si desideri una fumata breve e non impegnativa. Le pipe più capienti, specie se curve, andrebbero lasciate a occasioni più rilassate, come un dopocena in poltrona, che dia il piacere della conversazione, di un ottimo distillato, di un buon libro.
La notevole capienza del fornello può essere un vantaggio anche in altre situazioni, come di fronte al computer o in macchina. In questi casi, una generosa quantità di tabacco, destinata a una fumata di almeno due ore, rischia di rendere la pipa troppo pesante, stancando la mascella. Una soluzione può essere rappresentata dalla cosidetta “pipa a sassofono”, la cui accentuata curvatura assicura un buon bilanciamento, oltre a un maggiore piacere dell’olfatto.
Le dimensioni della pipa sono importanti anche dal punto di vista estetico. Prima di essere acquistata, una pipa dovrebbe essere provata in bocca, davanti allo specchio, valutandone le proporzioni rispetto al viso e al corpo: provate a immaginare il commissario Maigret interpretato dall’indimenticabile e imponente Gino Cervi con una pipetta di piccole dimensioni, o, per contro, l’esile e geniale Georges Simenon, creatore dello stesso commissario, cimentarsi con un fornello mastodontico.
Le finiture sono funzione del gusto personale. Le pipe lisce sono indubbiamente le più pregiate, offrendo la visione, sul loro fornello, dello scorrere spettacolare delle venature della radica. I casi in cui le venature partono dalla base del fornello percorrendo in modo lineare l’intera superficie (pipa fiammata), ovvero quelli in cui esse presentano tanti piccoli “occhi di pernice” disposti in modo regolare (sono in effetti trasversali rispetto alla fiamma), rendono la pipa particolarmente rara e pregiata. Naturalmente, si tratta di pregi essenzialmente estetici, che nulla aggiungono, invece, alla fumata.
Anche le pipe sabbiate (sottoposte, cioè, a un forte getto di sabbia che ne “scanala” la superficie) hanno un grande fascino, derivante dal fatto che questo tipo di trattamento pone in evidenza le venature del legno (le parti più dure, infatti, sono quelle in rilievo). Certamente si tratta di pipe più “sportive” rispetto alle lisce. Direi che le pipe lisce sono da preferire in occasioni e con abiti più formali, mentre le sabbiate vanno benissimo in contesti più rilassati, con abbigliamento più sportivo.
A questo proposito, ecco qui in basso una foto del taschino di una vecchissima e splendida giacca di tweed dell’avvocato romano Marco Bastoni, uomo di gusto eccelso, esperto intenditore di tessuti e di pipe, nonché raffinato illustratore ad acquerello ed appassionato cultore del british style. In questo caso, la pochette è stata sostituita da tre piccole Dunhill d’annata. Come si può notare, due delle tre pipe sono sabbiate.
Molti neofiti vivono con frustrazione i continui spegnimenti e le necessarie riaccensioni (che molti manuali presentano come sintomo di inesperienza). Io credo che non dovrebbero esserci regole in merito alla quantità di accensioni. La pipa è una compagna e, come tale, ti segue anche spenta. Se la fumi conversando (cosa assai piacevole), è normalissimo che si spenga molte volte. Sarà, anzi, piacevole tenerla in mano, carezzarne le pareti legnose, farsi riscaldare i polpastrelli dal suo tepore e magari riaccenderla dopo una pausa.
Altro problema spesso sollevato dai fumatori poco esperti è quello della già citata “acquerugiola”. Per prevenire il formarsi di umidità e gustare il tabacco in modo appropriato e soddisfacente, è importantissimo fumare in modo ritmato e con estrema lentezza, evitando surriscaldamenti sia del tabacco sia della pipa. L’acquerugiola può essere anche favorita da un’eccessiva umidità del tabacco. Tra l’altro, il grado ideale di umidità è ampiamente soggettivo. Più il tabacco è umido, meno va pressato nel fornello, onde evitare che, nella combustione si compatti, impedendo il passaggio dell’aria. Quando ciò avviene, l’uso di uno scovolino anche nel corso della fumata è più che mai opportuno. Per questa finalità, vanno bene gli scovolini morbidi, completamente bianchi, piuttosto che quelli abrasivi, da utilizzare solo alla fine della fumata, per la pulizia del cannello. I primi, tra l’altro, sono anche più “assorbenti”. Ricordo che far entrare uno scovolino in fondo ad una pipa curva è più difficile; in questo caso, è indispensabile arricciare un po’ lo scovolino prima di inserirlo nel cannello.
Qualche notazione, ora, sulla pipa in uso. Il primo, importantissimo passo è quello del caricamento, da effettuare con estrema cura, con pizzichi di tabacco stratificati e non eccessivamente pressati. Ciò per consentire che il tabacco venga fumato fino in fondo, e la pareti del fornello si ricoprano uniformemente di carbone.
Dal caricamento dipende tutta la fumata. Personalmente, prendo il tabacco a piccole prese e lo lascio cadere “a pioggia” nel fornello affinché vi si depositi a strati. Solo quando il fornello è pieno comincio a pressare delicatamente, facendo spazio ad altre prese che, a loro volta, presso con dolcezza. Agisco così fino a quando la pipa è piena e, tirando attraverso il bocchino, sento passare la giusta quantità di aria. Dopo di che accendo, aspirando a piccole e veloci boccate.
E’ importante che l’intera superficie del tabacco sia completamente accesa (come facciamo solitamente per il piede del sigaro…). Dopo questa operazione, il tabacco si sarà sollevato notevolmente. Occorrerà pertanto pressarlo nuovamente con il “pigino” e procedere a un’altra accensione. Quest’ultima, a differenza della prima, sarà fatta aspirando il tabacco a boccate lente e profonde. A questo punto, la pipa sarà perfettamente accesa e comincerà a fare il suo meraviglioso lavoro!
Per l’accensione, il fiammifero è lo strumento più naturale; trovo elegante e molto funzionale (anche perché non lascia tracce, quali mozziconi di legno anneriti…) anche l’accendino (rigorosamente a gas!), con il beccuccio predisposto per sviluppare la fiamma in perpendicolare piuttosto che verso l’alto. Volendo fermarsi ai fiammiferi, l’amore per gli oggetti ben fatti può sviluppare idee interessanti, come, ad esempio, quella di utilizzare qualche splendido portafiammiferi d’antiquariato, ovvero farsene confezionare uno, in cuoio o in legno, da tasca o da tavolo, da un abile artigiano.
Un’ultima notazione sul cosidetto “rodaggio”. L’entrata a regime di una pipa nuova è un fatto largamente soggettivo. A mio parere, una trentina di fumate, ben distribuite e non troppo vicine tra loro, costituiscono il tempo minimo perché legno, cenere e umori del tabacco comincino a dialogare amabilmente, restituendo al fumatore un caleidoscopico flusso di sensazioni!
Italo Borrello