Nel Regno dì’Inghilterra, la nascita della banconota “ufficiale” è preceduta dalla diffusione di una sorta di cartamoneta “privata”: sono le lettere di cambio ed i certificati di deposito, i quali sin dalla metà del XVII secolo trovano ampia diffusione e generalizzata accettazione. La lettera di cambio, non di rado rilasciata senza identificazione del beneficiario, veniva generalmente da questi utilizzata quale strumento di pagamento, essendo comunque trasferibile per mezzo della girata. Come riporta Jean Rivoire (Storia della Banca, Roma 1987) “le girate che figurano sopra un effetto permettono di risalire a ritroso la catena dei suoi detentori successivi. L’ultimo di essi non sarà dunque l’unico ad essere leso, in mancanza di pagamento. Non c’è, dunque, più necessità di intestare gli effetti commerciali al portatore”. I commercianti e gli artigiani londinesi nutrivano scarsa fiducia nelle istituzioni creditizie legate alla Corona, a causa delle gravi difficoltà economiche che essa attraversò nella prima metà del ’600 e che culminarono, nel 1640, con il sequestro di tutti i depositi dei privati conservati presso la Torre di Londra, che svolgeva le funzioni di Banco pubblico di deposito. Stiamo parlando degli eventi che portarono alla Rivoluzione Puritana e alla decapitazione del re Carlo I.
Coloro che possedevano capitali preferirono dunque rivolgersi ad altri privati, gli orefici, i quali, quale ricevuta degli avvenuti versamenti, rilasciavano ai loro clienti dei certificati di deposito che potevano essere trasferiti senza alcun limite da persona in persona mediante girata, in modo simile a quello delle fedi di credito, o anche essere lasciati al portatore, potendo quindi essere usati quale strumento di pagamento senza necessità di girata alcuna. A partire dal 1655, inoltre, grazie al credito di cui disponevano, molti orefici cominciarono a rilasciare certificati senza aver ricevuto alcun deposito, garantendoli con i propri beni. Per facilitare la circolazione dei titoli emessi, nacque ben presto l’abitudine di frazionare il capitale rilasciando numerosi certificati con tagli fissi di piccolo o medio importo, ciò che li convertiva a tutti gli effetti in una vera e propria cartamoneta fiduciaria. Le botteghe degli orefici e dei principali commercianti si convertirono così in “banche di depositi e banche di circolazione. Non solo danno a prestito gran parte delle somme depositate presso di loro, ma i beneficiari dei prestiti riaffidano spesso in deposito il contante loro concesso, preferendo ricevere dei certificati più pratici da trattare” (Rivoire, op.c.). Non solo banchi di deposito e circolazione, dunque, ma anche di emissione. Sino a quando una crisi generale di liquidità (1672) spinge repentinamente la clientela ad esigere agli orefici la conversione dei propri titoli cartacei in metallico, conversione non sempre possibile.
William Paterson è un banchiere scozzese che, dopo aver a lungo soggiornato ad Amsterdam, si stabilisce a Londra nel 1688 con il progetto di creare un banco pubblico di emissione sul modello di quello fiammingo. Il progetto di Paterson piace alla Corona che lo sponsorizza ed il Parlamento nel 1694 approva la nascita della Bank of England, Società per azioni con un capitale iniziale di 1.200.000 sterline sottoscritto pubblicamente. Sulla base di tale capitale e sul modello delle note di credito del Banco di Stoccolma, la Banca d’Inghilterra rilascia agli azionisti delle Bank Notes, banconote ossia biglietti con importo prefissato pari a 200 sterline ed utilizzabili nei pagamenti senza necessità di girata, e con esse copre l’intero capitale iniziale. A differenza dei certificati emessi dagli orefici, le banconote della Banca d’Inghilterra hanno un aggio, ovvero viene riconosciuto ai possessori un interesse che matura nel tempo. L’esperimento fu di brevissima durata. L’anno successivo, 1695, sopravvenne una gravissima crisi monetaria ed i possessori delle banconote inutilmente tentarono di convertirle in metallico. Allo scopo di evitare la liquidazione della neonata Banca d’Inghilterra, la Corona intervenne garantendo le banconote emesse con altri titoli di credito del Ministero delle Finanze per i quali si garantì una successiva conversione in moneta metallica. La crisi venne superata, il capitale della Banca fu elevato a 2.400.000 sterline e vennero emesse nuove banconote in diversi tagli tra 5 e 200 sterline in modo da facilitarne la circolazione. Analogamente a quanto avvenne a Londra, nel 1795 nacque a Edimburgo la Bank of Scotland, per iniziativa di un altro banchiere scozzese, John Holland, la quale emise cartamoneta sino al 1717. Le difficoltà legate alla circolazione cartacea vengono poco a poco risolte e nel 1745 i mercanti di Londra stabiliscono pubblicamente che “noi sottoscritti, mercanti e altri, rendendoci conto di quanto sia necessario in questo giorno salvare il credito, dichiariamo col presente atto che non rifiuteremo i pagamenti in biglietti di banca, qualunque sia l’ammontare, e che faremo quanto è nelle nostre possibilità per effettuare i nostri pagamenti in questa stessa moneta” (Rivoire, op.c.).
Nelle colonie inglesi d’America una cronica penuria di monete metalliche ufficiali portò all’uso di vari sostituti, come i ‘pezzi da otto’ spagnoli (monete d’argento tagliate in vari pezzi da pesare), le perle Wampum (con cui ci si pagava anche l’iscrizione all’università di Harvard) oppure il tabacco della Virginia. Fu proprio l’uso delle foglie di tabacco che portò allo sviluppo della cartamoneta: dato che le foglie di tabacco avevano degli svantaggi come denaro, vennero sostituite da certificati che attestavano la qualità e la quantità di tabacco depositato in magazzini pubblici, in modo simile ai certificati usati da antichi egiziani e babilonesi. Questi certificati non si trasformarono in monete metalliche, come era avvenuto nell’antichità, ma divennero moneta cartacea, resa legale nel 1727.(segue)
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