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Breve storia del denaro (parte 14)

Creato il 03 ottobre 2012 da Davide

La prima banconota in Italia fu quella emessa nel 1746 dalle Regie Finanze di Torino in base al Regio Decreto del 26 settembre 1745, il quale motivava l’introduzione dei biglietti che dovevano “facilitare il vantaggio del pubblico Commercio”. In senso lato viene impropriamente chiamata banconota, anche la cartamoneta o biglietto di stato . Giuridicamente non è una banconota, non reca la dicitura della banca, ma dello stato emittente. Si tratta dunque di valuta emessa direttamente dallo stato, che gode del signoraggio al pari delle monete. Ad esempio nel 1966-1985 l’Italia sostituì, per gli alti costi dell’argento, le 500 lire metalliche con un biglietto di stato di pari valore. A differenza delle banconote, recava la scritta “REPVBBLICA ITALIANA – Biglietto di Stato”, anziché ” BANCA D’ ITALIA – pagabili a vista al portatore”. Anche la stampa era gestita dal Poligrafico dello Stato e non dalla Banca d’Italia.

La banconota strettamente detta, rappresenta oggi la parte cartacea della moneta legale emessa da una banca centrale. Si presenta in genere sotto forma di biglietto composto da fibre di cotone, lino e canapa (che la rendono più resistente della carta), oppure sotto forma di polimero plastico (adottato ad esempio nelle banconote emesse in Australia e in Romania). Nei sistemi monetari attuali, totalmente svincolati dai metalli preziosi, la banconota è moneta cartacea convenzionale, il cui valore è totalmente svincolato dalla presenza di metalli preziosi a copertura, ed è garantito fondamentalmente dal fatto di essere riconosciuta come moneta a corso legale in un determinato stato.
Fu Napoleone a imporre in tutta Europa l’uso di carta moneta. Nel XIX secolo però, la moneta cartacea poteva ancora essere sentita come un sostituto della vera moneta metallica, essendo sempre possibile la riconversione in oro. Si arrivò, nei momenti di crisi, a stabilire il corso forzoso, cioè la sospensione ex lege della convertibilità. Al tempo delle guerre napoleoniche la convertibilità delle banconote della Banca d’Inghilterra fu sospesa e ci fu una certa inflazione, anche se assai inferiore a quella che si scatenò in altre guerre successive. Bastò però a impensierire gli osservatori contemporanei e a far raccomandare l’adozione dello standard aureo, che la Gran Bretagna adottò nel 1816 lo standard aureo per la sterlina. Per secoli lo standard si era basato sull’argento, e la parola ‘pound’, sterlina, proveniva dal fatto che in origine ammontava a una libbra (pound) d’argento di peso. Per questo motivo è ancora chiamata ufficialmente ‘sterling pound’, dove sterling significa di gran pregio, di prima classe (la qualità dell’argento, ovviamente).
La Francia e gli USA erano a favore di uno standard bimetallico, oro e argento, e nel 1867 fu tenuta a Parigi8 una conferenza internazionale per cercare di allargare l’area comune di valute basate su monete con pesi standard d’oro e d’argento. Tuttavia quando i vari staterelli tedeschi si unirono in un solo stato nel 1971, la Germania scelse lo standard aureo della Gran Bretagna, all’epoca principale potenza mondiale e storica alleata della vecchia Prussia (per non parlare della casa reale britannica che discendeva dagli Hannover). Poco dopo i paesi scandinavi scelsero anche loro lo standard aureo, la Francia passò dal bimetallismo all’oro nel 1878 e il Giappone, che si era basato sull’argento, passò all’oro nel 1897. Infine, nel 1900, anche gli USA passarono all’oro come standard. In Europa poi, nel periodo di relativo benessere dell’inizio del XX secolo, si assistette addirittura ad una situazione in cui il corso delle banconote faceva aggio sull’oro: nella libera fluttuazione tra moneta cartacea fiduciaria e moneta aurea, ci furono momenti in cui i cittadini preferivano la comodità della cartamoneta rispetto alla poca praticità della moneta metallica. Lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 portò alla svalutazione della moneta cartacea, addirittura rovinosa per il marco tedesco: il finanziamento delle spese belliche era avvenuto infatti attraverso l’emissione di moneta cartacea.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale la Gran Bretagna decise di ritirare loro dalla circolazione interna e altri paesi seguirono il suo esempio rompendo il legame con l’oro. La Germania tornò allo standard aureo nel 1924, quando introdusse una nuova valuta il Reichsmark, e la Gran Bretagna seguì l’anno successivo e la Francia nel 1928 con la ri-adozione dell’oro. Comunque, il governo britannico aveva fissato il valore della sterlina a un tasso insostenibilmente alto e con la crisi mondiale del 1931 la Gran Bretagna, seguita dalla maggior parte dei paesi del Commonwealth (tranne il Canada), l’Irlanda, i paesi scandinavi, l’Iraq, il Portogallo, la Tailandia e alcuni paesi sudamericani, abbandonarono l’oro.
La libera convertibilità rimase una prerogativa degli Stati Uniti d’America, che anche per questo divennero il centro dell’economia monetaria mondiale fino alla grande depressione del 1929, per affrontare la quale il presidente Roosevelt effettuò una svalutazione a freddo, accompagnata da altre drastiche misure.Con questi provvedimenti Roosevelt stabilì che le monete d’oro non avevano più corso legale negli Stati Uniti, e la gente dovette convertire le proprie monete d’oro in altre forme di valuta; questa legge portò gli Stati Uniti fuori dal cosiddetto standard aureo, e inoltre implicò anche la fine della regola per cui la valuta cartacea degli Stati Uniti poteva essere scambiata con oro in tutte le banche della nazione. La centralità dell’oro venne comunque ribadita nel sistema di Bretton Woods del 1944. Il passaggio alla moneta cartacea avvenne a partire dal 1971, quando gli Stati Uniti dichiararono la fine di ogni rapporto di conversione tra banconote e oro (passando definitivamente alla moneta cartacea convenzionale). Ciononostante su alcune banconote è rimasta per lungo tempo una scritta che ricordava l’antico diritto del portatore di ricevere metallo prezioso presentando la banconota posseduta. Gli USA mantennero quindi a lungo il legame con l’oro e dopo la Seconda Guerra Mondiale, rimpiazzarono la sterlina con il dollaro come moneta chiave globale. Altri paesi fissarono il loro tasso di scambio con il dollaro, il cui valore restava definito in termini aurei. La crisi dell’inizio degli anni 197° e il fatto che l’URSS, che ha grandi miniere d’oro, manipolasse il mercato aureo, facendo aumentare a dismisura l’inflazione internazionale, portò l’amministrazione Nixon ad abbandonare lo standard aureo nel 1973 e a basare la moneta sulla potenza industriale. In questo modo, oltre ad ostacolare gli interessi sovietici, dava un colpo durissimo alla polisca petrolifera dei paesi dell’OPEC.
Un interessante articolo di Greenspan della Fed americana del 1966 sullo standard aureo è qui

La caduta, ne11971, del sistema monetario internazionale di Bretton Woods e stata spesso interpretata come un fallimento della politica (e, in particolare, della politica statunitense) di fronte alle forze dell’economia. I documenti degli Archivi nazionali statunitensi, relativi al periodo della presidenza di Richard Nixon (1969-1974), permettono invece di adottare una diversa prospettiva. L’instabilità monetaria della seconda meta degli anni sessanta permise infatti alla nuova amministrazione repubblicana statunitense di sviluppare, fin dal 1969, linee di pensiero e pratiche politiche volte al superamento del “liberismo controllato” che era alla base di Bretton Woods, in nome di un ritorno al più tradizionale laissez-faire. Orientate anche da importanti considerazioni di politica estera, le scelte economiche internazionali liberiste dell’amministrazione Nixon anticiparono di un decennio quelle di Ronald Reagan, e in buona misura aprirono loro il cammino (Duccio Basosi. Alle radici della rivoluzione neoliberista. Nixon e l’abbandono di Bretton Woods. ‘Italia contemporanea’, giugno-settembre 2005, pp. 276-240) (segue)


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