In questa occasione vorrei parlare della mia esperienza di genitore transessuale, perché all’interno della realtà “T”, che è già una minoranza, quelli che hanno figli sono una minoranza, quindi siamo una minoranza dentro una minoranza. Questo ti fa sentire alle volte un po’ più solo, un po’ più muto e più impaurito. Per questo ho cercato, attraverso anche il mezzo del web, di contattare altre persone che stessero facendo la mia stessa esperienza, con alcune delle quali si è creato un flusso di scambio e di sostegno.
Il mio sogno era quello di creare una sorta di rete tra genitore transessuali, perché credo che l’auto-mutuo-aiuto in questi casi possa essere molto importante. Sono quindi molto felice di vedere che qualcosa in questo senso si stia muovendo, come nel caso di questa tavola rotonda di Genova sulla trans ed omo genitorialità, nata dalla collaborazione con l’associazione Genovagaya, organizzatrice di questo ciclo di incontri denominato “Transnovembre”, e la “Rete Genitori Rainbow”.
Personalmente ho iniziato la mia transizione in età più che adulta, già madre di una bambina e di un bambino che allora avevano due e cinque anni. Sono stato e continuo ad essere seguito nel mio percorso presso l’ospedale Careggi di Firenze e il consultorio Trans Genere di Torre del Lago. Qui in particolare ho trovato nella psicologa che mi era stata assegnata, una figura fondamentale per affrontare le difficoltà che mi angustiavano. L’enorme preoccupazione per mia figlia e mio figlio era una di queste. Lei mi ha impedito di affrontare la questione, rimandandone sempre la discussione, per mesi. Sosteneva che prima dovevo pensare a me stesso, risolvere i miei nodi, rafforzarmi. Mi sembrava una cosa terribile, come sovvertire il naturale ordine delle cose, abituato a pensare che le madri si sacrificano sempre per la loro progenie, e che si annullano, se necessario, nella cura e nel bene di questa, e non che io fossi, prima che madre, una persona.
La mia stessa esperienza di figlio di una madre frustrata e insoddisfatta mi ha aiutato a capire quanto di buono ci fosse in quest’ultima asserzione, e benché io tornassi spesso alla carica con la questione figl*, mi sono fidato. Le rassicurazione della psicologa su come mio figlio e mia figlia avrebbero reagito ai miei cambiamenti fisici mi suonavano però di una superficialità ed avventatezza incredibili, e se non fosse stato per il rapporto di fiducia creatosi tra me e la terapeuta, sarei scappato a gambe levate. La mia idea era infatti che i mie* figl* avrebbero subito danni irreparabili, che sarebbero impazzit* vedendo la loro madre trasformarsi fisicamente in un uomo sotto i loro occhi innocenti. Ero spaventato per la grande sensibilità del figlio maggiore e inorridito per la sorte di quella piccolina, femmina, che avrebbe visto la madre mutarsi in maschio.
Questa è esattamente la mentalità comune, quello che ricevevo dall’esterno anche dagli altri adulti che amano i mie* figl* e che mi hanno riversato addosso la loro preoccupazione in termini assai duri (mia madre che mi dice “Non ti perdonerò mai di avere messo al mondo due figli nella tua condizione” o mio padre che tuona “Se tu fai questa cosa vuol dire che non vuoi veramente bene ai tuoi figli” e mia sorella che predice per loro una fine di tossicodipendenza per colpa mia). Nonostante la preoccupazione per i miei figli ed il rispetto per me stesso facessero a volte cortocircuito, dentro di me, esponendomi ad enormi inquietudini, tentavo di ascoltare il controcanto della psicologa, che mi diceva che i mie* figl*, molto piccoli, non avevano ancora quella rigida strutturazione degli adulti, e che quindi avrebbero vissuto il mio cambiamento con serenità e non in modo traumatico.
C’erano poche indicazioni da rispettare: non creargli confusione, rispondere sinceramente alle loro domande aspettando che loro le facessero senza forzare i tempi, e soprattutto fargli sentire che la loro madre era sempre lì, accanto a loro, per amarli e sostenerli. L’unica cosa che infatti i bambini e le bambine temono è di perdere la madre, hanno paura che, cambiando, lei se ne vada. Non importa che forma abbia la loro mamma, l’importante è che mantenga il suo ruolo di figura di riferimento affettiva. Devo dire che la psicologa ha incassato molti punti a favore, rispetto a chi faceva previsioni infauste e si è dovuto ricredere, essendo andate le cose come lei aveva predetto. Io ho quindi aspettato che fossero loro a chiedermi qualcosa, l’ho aspettato con impazienza. E questo è avvenuto a terapia già iniziata, un giorno che, a tavola, il maggiore mi ha chiesto perché tutt* mi chiamassero Egon, dopo più di un anno che vivevo al maschile. Allora gli ho spiegato che quello, pur non essendo il nome che in effetti mia madre e mio padre mi avevano assegnato, era il nome che avevo scelto e che desideravo che gli altri mi chiamassero così, tutti tranne lui e sua sorella, che potevano continuare a chiamarmi come volevano. In quell’occasione si irritò un poco, dicendo che voleva che tutt* continuassero a chiamarmi con il mio nome anagrafico (paura di perdere la madre), ed io continuai a tranquillizzarlo sul fatto che per lui niente sarebbe cambiato.
Avevo introdotto il tema della transessualità poco prima, “approfittando” delle amiche e degli amici trans che frequentavano la mia casa. Si presentò l’occasione un giorno che, sempre il maggiore, chiese perché una mia amica mtf avesse la voce maschile e quindi io, insieme a lei, gli spiegammo la sua esperienza di persona che vive in un corpo non congruo al sentire psichico e non sente come proprio il sesso biologico di nascita. La sua reazione si espresse con la frase “Ma io sono contento di essere nato maschio, sono contento di essere come sono”, che indicò una buona comprensione per la situazione e sopratutto una reale capacità di discernere e di essere in contatto con se stesso (tanto per sfatare il mito che i/le bambin* possono essere influenzati da omosessual* e transessual*, che si possono confondere e quindi è meglio non parlare di certe cose a certe età). Una sera poi, con il loro padre presente, che in quell’occasione è stato fondamentale non si opponesse, ho spiegato la mia condizione di disagio anche a loro, e da allora ho sempre risposto con schiettezza e semplicità, modulandomi chiaramente sulle loro capacità di ragionamento (un accorgimento, per esempio, è stato quello di chiamare sempre la piccolina quando spiegavo le cose al grande, in modo che comunque anche lei potesse recepire qualcosa), ribadendo comunque sempre che rimanevo la loro mamma e che nei loro confronti nulla sarebbe cambiato.
Hanno sempre risposto con una sensibilità e una maturità commovente, mostrando un grande equilibrio, vedendo in me un genitore con cui anche poter condividere i loro pensieri più profondi, senza paura di essere giudicati o redarguiti. L’ultimo dialogo scambiato tra di noi sull’argomento risale ad una settimana fa, mentre io mi stavo cambiando davanti a loro (cosa che ho ricominciato a fare da qualche mese, perché dall’inizio della transizione avevo una sorta di pudore). Ero a petto nudo e si è svolto il seguente dialogo:
mio figlio mi ha detto “Certo mamma che io non ho mai visto un uomo con il petto grande come il tuo”
io ho risposto “È perché sono nato donna”
lui per contro “Lo so bene che sei nato donna, ma quando hai cominciato a sentirti uomo, ad un anno?”
io allora ho detto “Ad un anno no, sei troppo piccolino. Tu hai detto che sei contento di essere un maschio”
lui “Sì, sono contento”
io “E sei soddisfatto?”
lui “Sì, sono soddisfatto”
io “Bene, io alla tua età non ero soddisfatto di essere una femmina”
lui “Capisco come ti sentivi”
ed il suo sguardo era così carico di comprensione che avrei voluto abbracciarlo per ore.
Quindi, riassumendo i punti cruciali della mia esperienza fino a questo punto, direi che posso evidenziare:
- la flessibilità dei mie* figl*, data la loro tenera età
- l’appoggio psicologico di una persona esperta e di mia fiducia, che mi ha reso più sicuro nel modo di procedere. Costituisce un punto di riferimento per i miei dubbi (e questa potrebbe essere anche la funzione di un gruppo di pari, di genitori transessuali, che si possono scambiare i vissuti e rafforzarsi a vicenda, dove chi ha già vissuto un’esperienza può supportare altr*)
- risposte sincere e oneste alle domande de* figl*, senza prenderli in giro e crear loro confusione; aspettare spontaneamente che chiedano, e soprattutto far sentir loro la mia vicinanza e continuare ad assolvere il ruolo di genitore, nella maniera più amorevole possibile. by Egon
Fonte: anguane – collettivo queer ecovegfemminista
Vi abbraccio
Marco Michele Caserta
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