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E per risolvere tutto dovrà avere una drammatica resa dei conti col proprio passato.
E' sbagliato approcciarsi a un film con molte aspettative perchè al loro aumento corrisponde un rischio proporzionalmente elevato di delusione.
Ma quando uno si trova davanti a un film con questo cast tecnico e artistico come questo, che aspira a ricreare le atmosfere hard boiled del noir o dei romanzi di Ellroy, come fai a non averne?
E invece Broken City nonostante le premesse e nonostante lo sfavillio di tutta la confezione si rivela una delusione: è la classica montagna che partorisce il topolino.
Se la figura di Taggart è ricalcata su quella del classico detective da film noir e pur essendo totalmente derivativa in quelche modo funziona anche per via dell'evoluzione che subisce durante il film, quello che non convince è tutto quello che gli sta intorno, un castello di carte che crolla miseramente nel finale a causa di un ritratto della politica troppo schematico e soprattutto demagogico affidato a personaggi che sembrano di cartone per quanto sono piatti e che si muovono secondo dinamiche trite e ritrite.
Se l'aspirazione del fratello gemello Hughes in libera uscita ( che firma da solo la regia) era quella di creare una specie di remake di un noir anni '40 consegnando allo schermo un ritratto caustico della corruzione politica che impera a tutti i livelli, il risultato è una ben più modesta imitazione del Lumet metropolitano più politico ma senza averne l'arguzia nè lo stile.
Dicevamo che il problema è nei personaggi che fanno da contorno al Taggart recitato da Wahlberg, figura di detective mutuata da tanti altri film ma che perlomeno cresce con il passare dei minuti visti gli scheletri che letteralmente fanno a spinte per uscire dai suoi armadi.
Come può essere credibile una figura di sindaco come quella tratteggiata in questo film recitata da un Russel Crowe poco credibile a partire dalla pettinatura, che riesce a svolgere impunemente tutti i suoi traffici in un'epoca come quella odierna e in un Paese come quello americano in cui i giornalisti fanno il pelo e il contropelo ai potenti? E come fa a nascondere il poco amore per la sua first lady( cosa imperdonabile agli occhi dell'opinione pubblica) , una Zeta Jones anche lei dall'acconciatura improbabile ( ma allora è una fissa!) che scorrazza in giro per la città fregandosene di quello che fa il marito?
E poi parole, parole , parole: in certi frangenti sembrano quasi che i vari personaggi vogliano uccidersi a parole ( o vogliano sfiancare lo spettatore) per quanto parlano e si perdono in chiacchiere interminabili che hanno la funzione di spiegare tutto quello che per esigenze di spettacolo non viene mostrato allo spettatore.
E proprio per questo il ritmo è lasso, condizionato da una sceneggiatura con troppi coni d'ombra per essere plausibile e che vanifica il lavoro certosino che fa Hughes alla regia per ricostruire atmosfere da hard boiled.
Un peccato perchè un film con tutti questi ingredienti avrebbe dovuto essere molto più saporito e invece si dimostra insipido.
Il (non) sapore di un'occasione sprecata.
( VOTO : 5 / 10 )
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