Manifestando in più occasioni la sua pericolosità sociale Peterson, oramai per tutti Bronson, finirà per passare ben 34 anni in galera , quasi tutti in isolamento.
Teoricamente ci troviamo di fronte a un biopic di un personaggio molto sui generis, in pratica è una rappresentazione teatrale stilizzata in cui il protagonista, uno smisurato Tom Hardy, è di fatto l'unico attore presente sulla scena.
Addirittura si rivolge al suo pubblico guardando nella telecamera cercando di vendere se stesso nel migliore dei modi. La prigione è di fatto uno sfondo teatrale che ammortizza le gesta del "criminale più pericoloso di tutto il Regno Unito".
E questo senza aver mai ucciso nessuno.
Ne ha ammaccati,parecchi però.
Michael Gordon Peterson in arte Charles Bronson, proprio come l'attore dallo sguardo di pietra, è certamente pericoloso non tanto perchè attenta alla vita degli altri quanto perchè non riconosce alcuna autorità superiore. E'pericoloso socialmente quindi molto più di un omicida.
Riconosce solo se stesso,il resto del mondo non lo riguarda, così il fatto di stare in isolamento per 30 anni dei quasi 35 anni trascorsi dentro.
Bronson sembra Mangiafuoco, assomiglia alla versione in carne, muscoli(soprattutto) ed ossa di quegli artisti da circo che decenni fa si vantavano di essere gli uomini più forti del mondo con tanto di bilancieri al seguito, è un figlio de-genere di Alex De Large ma con lui la cura Ludovico non ha mai funzionato.
E'una figura magnetica, oscura eppure quasi trasparente nella sua "filosofia" di vita ultra-violenta. Con la sola differenza che mentre nel film di Kubrick questa filosofia era la base di tutto, nel film di Refn è un processo in evoluzione costante che diventa sempre più evidente dopo ogni fatto violento che caratterizza la vita di Bronson, il quale ha una consapevolezza inferiore di quella che poteva avere il personaggio kubrickiano.
L'atmosfera che si respira nel film è surreale in questo corroborata dalla fotografia di Larry Smith che privilegia le tonalità sature. La prigione diventa una dimensione a metà tra la realtà e il sogno(o meglio l'incubo).
Refn tecnicamente è un regista parecchio talentuoso ma forse qui si lascia prendere la mano dall'enfasi di raccontare un personaggio eccessivo, sopra le righe.
Enfasi che si traduce in un uso piuttosto smodato delle musiche (fondamentalmente Verdi e Wagner ma anche musica leggera contemporanea) per sottolineare alcuni passaggi del film.
Refn in questa sua opera non si rivela essere regista da mezzi toni, il film è urlato in faccia allo spettatore ma si avverte che il regista danese ha preso questo personaggio così off limits ad uso e consumo della propria estetica fatta di scene bellissime da vedere se prese singolarmente.
Nel suo insieme il film invece arriva a essere sfiancante pur nella sua breve durata (meno di 90 minuti al netto dei titoli di testa e di coda).
Sembra che Refn abbia più voluto raccontare se stesso e la sua poetica da regista di nicchia (con continui ammiccamenti da Kubrick a Tarantino,dal Chopper di Andrew Dominik al McGuigan di Gangster N.1,fulminante esempio di gangster movie britannico nichilista nella sua violenza) che un personaggio come quello di Michael Gordon "Charles Bronson" Peterson.
La cui vita è comunque un grandissimo soggetto da cui trarre un film.
( VOTO : 7 / 10 )