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Bronze Age - Aspetti formali delle navicelle bronzee nuragiche 4° parte - Ancient boat
Creato il 19 agosto 2010 da PierluigimontalbanoLe colombelle sull’anello di sospensione...e altri animali.
Diversamente vanno interpretate le colombelle che spesso ornano la sommità dell'anello di sospensione. Esistono sostanzialmente due linee di interpretazione: una fa capo al Lamarmora che considera le colombelle animali esclusivamente e variamente simbolici; l'altra, del Crespi, che legge nei volatili anche un significato funzionale e pratico, allude alla avventurosa scoperta della terra, mediante la direzione segnata dal passaggio delle emigrazioni di certi volatili. La tesi ricorda come non si può escludere che le colombelle rappresentate avessero più che funzione rituale valore pratico, “per il loro sapersi dirigere, se liberate, verso casa e che i marinai di legni a vela usavano talvolta liberare le colombe quali vivi, anche se muti e romantici, messaggi di favorevoli navigazioni”. Il navigante, fuori dalla vista della terra, faceva uso di uccelli che liberava da una gabbia e seguiva nel loro volo per raggiungere l'approdo. Questo metodo, noto nel viaggio degli Argonauti (Apollodoro), è lo stesso raffigurato su di un sigillo babilonese, seguito da Ut-Napitshstim (il Noè babilonese) nella leggenda del diluvio, e dai suoi successori biblici. La tesi trova ulteriore conferma nelle navicelle sarde dove la colombella si trova in cima all'anello di sospensione, quasi sempre, salvo nei manufatti n° 15 da Nuragus e n° 40 da Gravisca, correlata alla presenza dell'albero o del semialbero.
Anche altri animali, oltre le colombelle e quelli raffigurati nelle protomi, sono presenti su alcune navicelle sarde. Nella n° 43 da Nuoro appare una scimmia, nella n° 2 da Abbasanta Lilliu pensa di riconoscere un topo o un ranocchio, nella n° 31 da Bultei la battagliola è ornata da due cani, nella n° 64 navicella del Duce da Vetulonia Lilliu descrive due anatrelle, un riccio, alcuni cani, un suino, un torello con le corna giovani, una pecora e un animale sdraiato e disteso per lungo sull'orlo.
Il Lilliu ritiene “la navicella da Vetulonia, come le analoghe, un esempio di battello da trasporto di lunga navigazione per la forma e le dimensioni, ma non certamente per l'ornato plastico, che non ha relazione alcuna con animali trasportati per mare. A quale scopo caricare cani e cinghiali?”.
Tuttavia lo scopo c’è: i cani sono animali da caccia e per la difesa personale, mentre i cinghiali erano preziosi per la carne e il grasso. I cinghiali possono essere addomesticati se catturati da piccoli e perciò potevano diventare una merce. Inoltre i denti e le zanne erano ottimi talismani per la loro forma lunata.
Altre strutture presenti in coperta su alcune navicelle di età nuragica sono infine barrette bronzee, cosiddette di rinforzo. Il Crespi avanza l'ipotesi che le lunghe barrette raffigurino due remi ovvero un albero a doppia antenna, temporaneamente smontato come d'uso sulle navi antiche. Vi sono inoltre le protomi prodiere: tutte le navicelle oggi conosciute, qualunque sia la foggia dello scafo, mostrano traccia di un prolungamento della prora ornato da una protome animale che riproduce in modi diversi il toro (o il bue), il cervo (o il daino), l'ariete (o il muflone). Il toro è la figura predominante.
Estremamente varia è poi la tipologia delle corna, nelle quali gli artigiani si sono sbizzarriti, per Lilliu, “nell'inventare forme, posizioni, movimenti vari, per lo più naturali rendendole col modellato per lo più robusto ma non pesante e quasi sempre elegante nelle linee bellamente ricurve”. Anche la lunghezza e l'orientamento del collo presentano una ricchissima casistica, variando da inclinazioni perfettamente orizzontali ad altre esattamente verticali. Non è da escludere l'ipotesi che la protome, saldata per ultima alla prua, venisse poi modificata nell'orientamento, deformandone il collo, per bilanciare in modo micrometrico la navicella.
Dal punto di vista nautico le protomi delle navicelle sarde, di generose dimensioni, paiono nella maggior parte dei casi inadatte alla navigazione. Nel maggior numero dei casi le protomi venivano fuse a parte e solo in un secondo momento saldate alla prora, con tecniche diverse. Si possono riconoscere le tecniche d'unione “a manicotto”, più diffuse sulle barche del tipo V, e le tecniche a “piastra saldata”, più comuni sugli scafi ellittici. Nella tecnica a manicotto la protome viene innestata tramite un bottone o spinotto in un corrispondente alloggiamento. Nella tecnica a piastra saldata la protome presenta all'estremità inferiore del collo una flangia triangolare che viene adattata, saldandola, alla prora dello scafo, formando in tal modo una sorta di gavone.
Molte delle barchette nuragiche possono essere utilizzate, oltre che posate su un piano, anche in posizione sospesa. Ciò grazie ad appositi apparati di sospensione i quali, seppure di differenti fogge, presentano tutti sulla cima un anello verticale e sono calibrati in modo da consentire il perfetto equilibrio dell'oggetto, che nel supposto uso come lucerna doveva essere tale da evitare ogni perdita di liquido combustibile.
La tipologia degli apparati di sospensione può essere ordinata secondo tre classi ben distinte: a ponte, ad albero impostato sul fondo, mista. Al culmine è situato un anello, talvolta aperto sulla sommità, altre volte saldato o chiuso in cima da una colombella. È possibile che all'anello fosse collegata una corda o una catenella del tipo “a otto”, ben noto ai fonditori di età nuragica. La sezione piatta delle maglie sembra bene adattarsi agli anelli aperti nei quali l'ultima maglia della catena poteva facilmente essere introdotta di traverso per poi reggere senza difficoltà, quando raddrizzata, l'oggetto.
L'uso di funi o catenelle sembra tuttavia impedito, in alcune navicelle, dalla presenza della colombella che sovrasta l'anello. Ci pare allora più verosimile ipotizzare che la navicella venisse sospesa inserendo l'anello in un piolo fissato alla parete in posizione orizzontale. In questo modo la colombella, lungi dal rappresentare un ostacolo, sarebbe anzi servita da appiglio per sfilare più comodamente la navicella dal suo sostegno.
Al di là delle evidenti funzioni che il manico a ponte riveste nell'oggetto-lucerna, resterebbe da chiedersi fino a che punto la sua foggia possa aver tratto ispirazione da strutture similari eventualmente presenti su un ipotetico modello reale.
Strutture centinate simili nella forma sono visibili su barche egizie dell'Antico Impero e possono essere ritrovate nei cerchi a botte delle imbarcazioni tradizionali del lago di Como. Un preciso richiamo a queste strutture, la cui funzione era quella di offrire, ricoperta con pelli o tessuti, un estemporaneo riparo dalle intemperie, uno spazio per il pernottamento. Una protezione alle merci più delicate si può leggere anche nella costruzione centinata a graticcio (cabina?) che è presente nella n° 53 (proveniente dalla Sardegna).
In luogo della più diffusa sospensione a ponte, sette navicelle presentano un vero e proprio albero saldato al fondo e terminante con una sorta di capitello, in cima al quale è impostato l'anello, che in questo tipo di barche è sempre sormontato da una colombella che guarda verso poppa.
Altre dodici barchette adottano invece un sistema misto, in virtù del quale un albero più piccolo è fuso in un sol pezzo sulla sommità di un manico del tipo a doppio ponte. Tanto la sospensione ad albero che quella a semialbero sono caratteristiche esclusive delle barchette a scafo ellittico di tipo E ed EV, e mancano del tutto negli scafi cuoriformi C e in quelli del tipo V.
L'albero delle barchette nuragiche, basso e tozzo, pare inadatto ad accogliere un gioco velico. È tuttavia possibile che alberi di tal fatta non fossero destinati ad accogliere vele, ma avessero in realtà il compito di sostenere, come nella hippos fenicia, una coffa di avvistamento da leggersi nel disegno a capitello della parte terminale della struttura.
Questi capitelli sono sorprendentemente simili ai ballatoi delle torri nuragiche così come raffigurate nei modellini classificati da Lilliu con Sc. 268 e 269 (da Ittireddu e Olmedo), tanto da far ritenere non improponibile l'ipotesi che alcuni alberi volessero in qualche modo significare, quasi come una sorta di “insegna nazionale”, la struttura a torre dell'edificio più rappresentativo della civiltà nuragica.
Nell'immagine alcune navicelle conservate al Museo Archeologico di Cagliari: Cuoriforme con antropoide e trilicne da Mandas.
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