Magazine Cultura
Aspetti della società sarda tra il XVI e il X a.C.
di Giovanni Ugas
E' cosa ben nota quanto sia straordinario il numero delle residenze fortificate dei capi protosardi, chiamate nuraghi, che controllavano e amministravano i territori cantonali e tribali tra il Bronzo medio e il Bronzo finale; nelle sole carte topografiche risultano oltre 5 mila, ma raggiungevano con molta verosimiglianza una cifra non inferiore a 7/8 mila a giudicare dai censimenti archeologici più recenti. Questi dati evidenziano l’esistenza di un sistematico controllo, amministrativo e difensivo dell’intero territorio sardo, sia pure diversificato in rapporto alla morfologia dei suoli, alla disponibilità economica e alle strategie generali. Per il loro aspetto formale e la pertinenza cronologica, i nuraghi sono distinti in arcaici o protonuraghi (datazione non calibrata: circa 1600-1330 a.C.) ed evoluti o classici (circa 1330-900 a.C.).
I protonuraghi, definiti talora anche nuraghi a corridoio, raggiungono già la cifra ragguardevole di circa 1200/1500 unità. Caratterizzati da corridoi e/o da camere ovali od oblunghe coperti da volte tronco-ogivali (e poi ogivali gradonate), i protonuraghi sono diffusi in tutto il territorio dell’isola e si distinguono tra loro per la diversa articolazione, come più tardi i nuraghi evoluti. Ora risultano semplici (con un solo vano per livello), ora sono formati da un bastione a più ambienti, talvolta difeso da una cinta turrita esterna (Biriola-Dualchi; Su Mulinu - Villanovafranca). I bastioni dei protonuraghi si mostrano come “palazzi” megalitici a più piani (due o forse tre nella fortezza di Su Mulinu), dal contorno concavo-convesso, e raggiungono già altezze considerevoli (non inferiori ai m 15), anticipando, nel loro aspetto, i più recenti bastioni turriti evoluti, come Su Nuraxi-Barumini, Arrubiu-Orroli e Santu Antine-Torralba, nei quali il mastio centrale può superare m 25.
Il numero decisamente inferiore dei protonuraghi con bastione circondato o non da cinta antemurale rispetto a quelli semplici indicano che, già nel XVI-XIV, la società protosarda aveva una sua articolazione interna ed era retta da capi di maggiore e minore rango.
Per la difesa ordinaria delle residenze fortificate erano necessari gruppi di guardie nelle garitte degli ingressi, sugli spalti e per la difesa personale dei capi. Già nei protonuraghi dotati di cinta esterna (provvista in genere di almeno sette torri), come Su Mulinu e Biriola-Dualchi, era indispensabile una guarnigione di un centinaio di soldati, che all’occasione doveva essere rinforzata con l’appoggio della popolazione dimorante nei villaggi. I proiettili litici per fionda, le cuspidi di freccia in ossidiana, soprattutto le possenti spade e i pugnali in rame arsenicato di Sant’Iroxi, ci assicurano che fin dal 1600 i protosardi erano frombolieri, spadaccini e arcieri. Almeno a partire dalla fine del XIV a.C. si faceva uso anche di lance corte, come evidenziano le armature in bronzo piccole e affusolate trovate negli scavi.
In sostanza già al tempo dei protonuraghi esisteva un’articolata piramide sociale con al vertice i capi o “re”, di maggiore e minore potere, stabiliti in residenze fortificate, piccoli palazzi, dove venivano conservate e amministrate le risorse vitali del territorio. La forza lavoro risiedeva in villaggi privi di mura, in stato di palese subalternità rispetto a chi dimorava nei castelli. La struttura micro-palatina non era sostanzialmente diversa dal sistema politico che ruotava attorno agli alti bastioni turriti del Bronzo recente (fine XIV - metà XII a.C.), quando però dovette aumentare il potere dei re e quello dei guerrieri, oramai parte di una casta cristallizzata nell’ambito di residenze regie che perduravano per diverse centinaia d’anni, che garantivano il mantenimento del sistema politico e sociale e con ciò la loro ragione sociale.
Questa situazione conoscitiva relativa ai protonuraghi è importante perché fa emergere un dato inconfutabile: al tempo in cui gli Shardana nel XIV a.C. militavano nei contingenti egiziani stanziati a Biblo e Ugarit, in Sardegna vi erano guerrieri esperti sia nelle mansioni proprie delle guardie personali dei capi (dovevano usare pugnali e spade e forse avevano pratica di lotta), sia nelle diverse armi e tecniche di combattimento: frombolieri e arcieri per la guerra a lunga gittata, lancieri per la distanza media e corta, spadaccini (immancabilmente difesi dallo scudo) negli scontri a viso aperto, “corpo a corpo”.
La struttura politica interna non muta nei secoli successivi (XIII-XII a.C.) e ciò porta a un numero delle residenze di capi sempre più consistente, fino a diventare esorbitante. Come detto, intorno al XIII, i nuraghi assommano a circa 7500, cifra ragguardevole in rapporto alla superficie (Kmq 24.000, media 1 nuraghe ogni kmq 3), mentre i villaggi sono stimati intorno a 2500-3000, cioè circa 1 ogni 10 kmq). Allora la popolazione dovette raggiungere i 400.000-600.000 abitanti. Nel loro insieme, le residenze dei capi maggiori (re tribali e cantonali) e dei capi minori (principi dei sub-cantoni), risultano circa 3000-3.500 (più di un terzo dell’intero numero dei nuraghi). Durante il Bronzo recente, le tribù della popolazione iliese della Sardegna centro meridionale dovevano essere circa 40, a giudicare dal numero degli eraclidi re Tespiadi, nipoti dell’eponimo Iolao (Ilas in dialetto dorico) adombrato nella letteratura greca.
Il considerevole numero e l’ubicazione dei nuraghi nel territorio, anche nelle piane alluvionali dove mancano i grandi massi per costruirli, implicano l’esistenza di un sistema di popolamento controllato e centralizzato. I tre più importanti popoli dell’isola, gli Iliesi (o Iolei) nel centro sud, i Balari nel Nord-Ovest e i Corsi nel Nord-est, erano organizzati per tribù che dovevano godere di ampia se non di totale autonomia. Da alcuni passi della letteratura greca si può dedurre che i re delle dinastie iolee, cioè i capi delle tribù iliesi erano 40 o poco più. Un numero così rilevante di distretti tribali, confermato anche dalle popolazioni locali attestate in età romana, come i Siculesi, i Galilesi nel Sud e i Nurritani e i Lugudonesi a Nord, testimonia una notevole articolazione nel tessuto antropico sardo che doveva produrre una certa instabilità e forse conflittualità nei loro rapporti
A giudicare dal computo dei nuraghi con cinta turrita esterna, i capi delle tribù e dei cantoni insediati erano in numero limitato, mentre erano assai numerosi, circa duemila, forse in proporzione al numero dei villaggi, i capi minori che controllavano i bastioni polilobati, privi di difesa murari esterna dei sub-cantoni. Col tempo l’estrema parcellizzazione del territorio disponibile dovette portare a un collasso del sistema politico ed economico, costringendo all’emigrazione una parte della popolazione, soprattutto quella giovane, e creando così le premesse per movimenti migratori alla ricerca di nuove terre, come accadde per i popoli italici e non diversamente, io credo, per gli Shardana e gli altri Popoli del Mare.
Gli edifici monumentali turriti dell’architettura nuragica del XIII e XII a.C., ancora oggi caratterizzanti il paesaggio sardo, destavano la meraviglia degli scrittori greci che li ritenevano opera di Dedalo. Le residenze di capi (i nuraghi), i sepolcri (tombe di giganti), i templi dell’acqua e i templi in antis, insomma tutti gli edifici pubblici, presentano un aspetto megalitico di bell’effetto generato sia dalla disposizione dei conci quasi sempre a filari, sia soprattutto dall’impiego sistematico di slanciate volte di sezione ogivale nelle camere circolari, nei corridoi, negli anditi, e talora nelle nicchie, una vera e propria arte gotica “ante litteram” (Lilliu). Si tratta di un’architettura ciclopica, apparentemente arcaica, ma pienamente geometrica, razionale e al passo con i tempi, se non precorritrice, soprattutto nell’impiego della volta in edifici soprassuolo, che se non inventata fu di certo perfezionata dai Sardi.
Occorre ricordare che in Oriente e in Grecia, solo assai più tardi, nel Ferro I avanzato, le volte in muratura furono adottate nelle camere circolari di edifici non funerari soprassuolo. Queste soluzioni costruttive, abbinate alla linea retta delle cortine o al profilo concavo-convesso dei bastioni (frutto dell’impiego del compasso e della fune e di rapporti armonici legati all’uso dell’unità metrica lineare di cm. 5,5), e più tardi alla bicromia e tricromia dei conci isodomi, al coronamento delle mensole dei terrazzi, offrivano ad un tempo un senso di geometria razionale, possanza e armonia, frutto di secolari esperienze nell’edilizia.
Non è esagerato affermare che, se gli architetti egizi furono i maestri insuperabili della copertura piana su pilastri e colonne, gli architetti sardi furono i maestri dei tholoi. E’ vero che in alcuni edifici dell’Argolide le volte micenee appaiono più grandiose di quelle dei nuraghi, come il tholos del “Tesoro di Atreo”, ma occorre rimarcare che tali volte sono il risultato di un rivestimento parietale ipogeico, non sono mai disposte su più piani e, non dovendo sopportare grandi carichi, non presentano particolari difficoltà per la statica complessiva degli edifici. In effetti, i Greci continentali e i cretesi, così come gli architetti anatolici e del Vicino e Medio Orientale, non usano le camere circolari con la volta negli edifici aerei, ma piuttosto impiegano colonne per realizzare le coperture degli ambienti più spaziosi (megara) dei loro palazzi.
Gli abitati nuragici sono sempre privi di mura di protezione, salvo forse alcuni casi da riportare al Bronzo Medio, come Frenegarzu di Bortigali e Monte Sara di Macomer) o piccoli nuclei insediativi arroccati su speroni di roccia. E’ un caso isolato il grande recinto, ancora da indagare, provvisto di torri che circonda il villaggio ubicato attorno nuraghe Losa di Abbasanta. Le abitazioni ordinarie sono formate da capanne singole, di pianta ovale o oblunga nel protonuragico (Bronzo Medio), sistematicamente circolare nel Bronzo recente, in sintonia coi nuraghi evoluti. L’edilizia nuragica non attesta colonne o pilastri, nonostante le loro frequenti documentazioni nei preesistenti sepolcri ipogeici prenuragici, se non nell’atrio delle abitazioni della piana del Campidano meridionale costruite con zoccoli di pietre piccole e muri di mattoni di fango. Si tratta di edifici complessi a vani quadrangolari, preceduti da pilastri con capitelli a gola (Monte Zara – Monastir) ascrivibili alla fine del Bronzo recente II e agli inizi del Bronzo Finale (XII a.C.). Il Campidano è il retroterra del golfo di Cagliari, la regione più adatta all’agricoltura e la più aperta agli influssi esterni. Nell’insediamento di Monte Zara in Monastir sono state messe in luce alcune case con pilastri e capitelli a gola di fine XIII-XII a.C. A questo periodo si fanno risalire anche le prime aggregazioni, delle capanne circolari, come a Serra Orrios di Dorgali, con raccordi murari aggiunti spesso a capanne preesistenti.
Con l’avvento di regimi politici di tipo aristocratico, nel Ferro I sardo, a partire dal 900 a.C., le abitazioni pluricellulari a corte centrale dei villaggi protosardi si presentano generalmente a vani quadrangolari e comprendono, talora, un piccolo ambiente termale rotondo, in origine coperto a tholos (Su Nuraxi di Barumini, Sedda Sos Carros di Oliena). A questi edifici rotondi, con un sedile a giro e al centro un grande bacile, sono state attribuite diverse destinazioni d’uso ma la presenza del forno per riscaldare l’acqua e di vasche, canali e doccioni non lasciano dubbi sulla loro funzione termale.
Nelle immagini: Fronte Mola, Monte Baranta e capanna Asusa.
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