Come potrete notare, continuo a battere il chiodo sul 1973. Un anno per certi versi interessante. Oggi vi segnalo un disco che più azzeccato in senso storico non potevo trovare in questo periodo. Ieri infatti, 11 settembre, ricorrevano i 40 dalla pubblicazione di The Wild, the Innocent & the E-Street Shuffle. Non mi capita mai di azzeccare qualche anniversario, e quindi anche se l’ho scoperto con un giorno di ritardo permettetemi questa licenza. Eppoi, visto che stiamo parlando di uno degli artisti più nazionalisti della storia del pop/rock, mi sembra sia giusto anche constatare che il questo disco del “Boss” cade proprio in una delle date più nere della storia moderna americana. No, nessun segno di premonizione dai testi, era il ’73, esattamente 28 anni prima dell’attentato alle Torri gemelle.
STORIA. Questo è il secondo album di Bruce Springsteen and the E-Street Band. Un disco che, rispetto al precedente Greetings From Asbury Park, mostra già un lavoro più ragionato, meno acerbo, sebbene risulta ancora lontano anni luce dal Boss successivo. Qualche gemma però resterà impressa e diventerà cavallo di battaglia di tantissimi tour fino ad oggi. Diciamo che ai fans del Boss rimarranno impresse perle come Rosalita (oddio, qualcuno l’ha definita la “canzone” più bella del secolo, ma figuriamoci…) o 4th of July, Asbury Park, che gli appassionati riconoscono più come Sandy, che il Boss ripete mille volte nel testo. A mi avviso, meritano molto più le più grezze Kitty’s Back, Wild Billy’s Circus Story (mi piace menzionare la bella prova alla tuba di Garry Tallent) e The E Street Shuffle. In questo disco non ci sono brani indimenticabili, ma fin dal primo ascolto mi è rimasta impressa New York City Serenade. Ultima traccia di oltre 9 minuti, di un gusto notevole nonostante la semplicità della melodia.
IMPORTANZA. Almeno a giudicare dalle classifiche di vendita di allora, pochina. Ma aiuterà Springsteen e la E-Street Band a cimentare un legame sempre più profondo con i fans. E qui, più che parlare del disco, sarebbe meglio affrontare un’annosa questione e toglierci il dente. Forse nel rock non c’è musicista che abbia più diviso la critica tra favorevoli e contrari. Così capita di notare, anche in giro per testate e siti autorevolissimi, commenti in un senso esaltanti, nell’altro dissacranti (uno dei più comuni: «Il Vasco Rossi americano», come se fosse una colpa essere arrivati per primi…). Bruce è così, divide. Il perché non lo so, forse perché calpesta entrambi i campi (pop e rock) e quindi tradisce in parte alcune aspettative, seppur sbagliate. Comunque ammetto che anche il sottoscritto fino a poco tempo fa la pensava come questi ultimi. Oggi, dopo un solo parzialmente attento ascolto di gran parte della sua discografia (compresi diversi e strabordanti bootleg di live infiniti), preferisco assumere al riguardo una posizione distaccata, da sociologo «osservatore non partecipante». Di una cosa – anche in assenza di strumenti empirici – sono convinto: i maggiori critici di Bruce Springsteen credo siano gli stessi superficialotti che pensano che i Pink Floyd siano quelli di Wish You Were Here. Dico, almeno ascoltatelo (sentitelo).
SENSAZIONI. The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle è ben concepito e si vede che c’è un lavoro dietro. Le chitarre del boss spesso risultano taglienti al punto giusto, ma spesso finiscono in secondo piano. Secondo me non tanto per le limitate capacità tecniche del Boss, quanto piuttosto per l’obiettivo a cui mirava: la completezza. Dunque, questo è già un album che mira a tale pretesa, anche se non la raggiunge. Per alcuni è il disco di Springsteen più vario ed eclettico. In effetti, oltre a molto country, c’è anche qualche scampolo di blues, soul, gospel, vaudeville e addirittura un pizzico di funky. C’è chi ha scomodato il jazz e il fusion, io non me la sento. Dico però che Rosalita, per esempio, possiede molto di sudamericano. Saranno le trombe…
LA SORPRESA. Quando per la prima volta ascoltai New York Sarenade, mi colpirono soprattutto quei circa 2 minuti di intro di pianoforte, che poi si fonde meravigliosamente con l’intro di chitarra. Qualcosa a metà strada tra la musica classica, il rock e Al Stewart. Era David L. Sancious, mani, corpo e anima della E-Street Band, tanto il nome del gruppo deriva proprio dalla sua casa e nel back di copertina di The Wild compare proprio la band in foto a casa Sancious. Quando lasciò la band fu una perdita clamorosa per Springsteen. Oltre a crearsi un percorso solista, Sancious collaborerà con i più grandi, tra cui McLaughlin e soprattutto Stanley Clarke, con cui firmerà le parti di synth in School Days. Lui si che era jazz…