Un’altra delle torri che svettano nel cielo di Bruges, è quella quadrata, adornata da vari pinnacoli, del campanile della cattedrale del Saint Sauveur , che è anche la chiesa più antica della città risalente all’anno 850, anche se del nucleo originale ormai non rimane più nulla, mentre il nuovo edificio fu costruito dal XII secolo in avanti.
Sempre nelle vicinanze si può vedere l’antica casa di João Vasquez, segretario di Isabella del Portogallo, madre di Carlo il Temerario. Sul frontone il motto “À bon compte avenir” (Il futuro appartiene a coloro che ascoltano attentamente).
Passeggiando, ci sono varie case che erano sedi delle varie corporazioni di mercanti, come quella dei calzolai (Gekronde Laars) che sul pinnacolo espone uno stivale,
o quella recentemente ristrutturata, della corporazione dei muratori.
Altro conterraneo importante fu Jean Van Eick, al quale sono dedicate sia una piazza che una statua.
È l’autore del celebre quadro conservato alla National Gallery di Londra “I coniugi Arnolfini”, mercanti italiani, per la precisione di Lucca, che furono ritratti dal pittore fiammingo verso la metà del 1400.
Nella piazza finisce il canale e lì era situata la dogana, mentre sull’edificio all’angolo, in una nicchia, si nota la statua di un orso che, secondo un mito, fu il primo abitante del luogo.
Poi ci sono i vari mercati: quello delle uova, con una fontana con i due animali araldici simbolo di Bruges, l’orso appunto ed il Leone delle Fiandre che tra gli artigli tengono lo stemma cittadino; ed il mercato del pesce con le sue colonne. Quando ci siamo passati, c’era un gruppo di pittori che esponevano i loro dipinti, ma anche un ragazzo abbastanza giovane che lavorava una tela al telaio alla maniera antica.
Già, perché l’industria manifatturiera a Bruges è sempre stata una delle occupazioni basilari. A parte le telerie e gli arazzi, l’attività principale, quella che permise agli abitanti di sopravvivere durante il periodo nero della decadenza, è quello dei merletti: ricami leggeri, a fuselli, che richiedono infinita pazienza e precisione, con i fili intrecciati grazie all’aiuto degli spillini, che consentivano creazioni delicate e che venivano rivendute per pochi soldi, che non ripagavano certo le ore spese per questo lavoro, a ricche nobildonne o usate per i paramenti sacri. Ed ancora oggi non so quanti negozi vendono trine e merletti al tombolo…
Poi ci sono le praline di cioccolata: credevo che il cioccolato svizzero fosse il migliore, ma ancora non avevo assaggiato quello belga: inutile dire che abbiamo fatto incetta, perché davvero merita. Il Belgio poi sta cercando di proteggere il suo prodotto da quelli similari, cosa che dovremmo fare pure noi italiani con le nostre eccellenze gastronomiche.
L’unica nota un po’ “fastidiosa”, ma non più di tanto, vista l’innata educazione, era la presenza di turisti giapponesi: tantissimi, li trovavamo dappertutto sempre sorridenti ed armati di macchina fotografica o di tablet, inquadrati come scolaretti dietro le loro guide. Un po’ birbantescamente ci veniva da fischiettare “Il ponte sul fiume Kwai”, ma ci siamo trattenuti.
Ci sono vari punti suggestivi in città: uno è il Rozenhoedkaai, ossia il molo delle ghirlande di rose che su questo molo venivano vendute durante il medioevo. Qui si ha la visione sia del Belfried, ossia la torre del Markt, che della torre del Saint Sauveur.
L’altro è quello del ponticello con la veduta sulla parte posteriore dell’abside che ho messo all’inizio della prima parte del viaggio. Pure io ho provato a fotografarlo, ma con il cellulare non si possono fare miracoli :-)