Magazine Diario personale

Niente panico

Da Matteotelara

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NIENTE PANICO    Capitolo primo di un romanzo non pubblicato di Juan A. TeieraMatteo Telara

Il Jimmy Roger Market Shop è una catena di fast food che si distende in genere lungo le strade principali delle maggiori capitali europee. Fenomeno d’importazione tutto americano, con in più la particolare caratteristica di svilupparsi unicamente nelle capitali, ciò che fa di un Jimmy Roger Market Shop una realtà alimentare ristorativa di tutto riguardo rispetto alle dirette concorrenti comunque presenti sul territorio è l’esclusività, per l’appunto.
Scelta controcorrente abbracciata dai suoi responsabili marketing in totale controtendenza rispetto al loro tradizionale modus operandi.
Intendo dire: accertato che le capitali di ogni paese di questo mondo non arrivano mai a raggiungere neppure un quinto della popolazione totale del suddetto Paese, e che la parte più vitale della società la ritroviamo sempre nelle medie cittadine di provincia, per quale ragione dover rinunciare a un bacino d’utenza di milioni di potenziali clienti? Ma soprattutto, come si spera di far circolare immagine e fama di un servizio se questo è presente solo in una realtà talmente circoscritta?
Mi trovo all’interno del primo Jimmy Roger Market Shop sbarcato in Europa il giorno in cui l’idea mi si affaccia nella testa per la prima volta. Ed è come un lampo elaborato per anni che tutto a un tratto ti esplode in qualche meandro della mente.
Penso grandi svolte umanità.
Penso nuovo ordine.
Penso spiritualità.
Ho i capelli lunghi e pochi peli di barba sulle guance. Ho jeans stretti a zampa d’elefante e braccia magre. E sto riflettendo sul fatto che ciò che differenzia un normale hamburger da un Jimmy Roger Market Burger sia l’assoluta segretezza di almeno uno degli ingredienti che lo compongono. Si sa che c’è all’interno della carne di maiale, si sa che c’è dell’insalata e del pomodoro, eventualmente pepe nero di provenienza turca o peperoncino siciliano, ma è la salsa quella che fa la reale differenza nel sapore. La salsa. E della salsa nessuno sa niente. Sulla salsa non troverete mai scritto nulla da nessuna parte. Top secret. Nessuno sarà mai in grado di dirvi da cosa è composta esattamente la salsa di un Jimmy Roger Burger. Dovrete andare a intuito, scavare tra le vostre papille gustative, viaggiare a ritroso lungo il vostro apparato digerente. Questo dovrete fare. Fino a raggiungere qualcosa che sembrerà ricordarvi il sapore di qualcos’altro. Nessuna chiarezza. Nessuna carta d’identità.
Un po’ come per la ricetta originale della Coca-Cola. Un po’ come per il sorriso della Gioconda o per il Conclave Cardinalizio per l’elezione di un nuovo Papa.
Assoluta segretezza. Mistero umano che si tinge di significati reconditi, se vogliamo.
Sto mangiando un Jimmy Roger Burger seduto a un tavolino in plastica arancione a due passi da Piccadilly Circus quando realizzo che buona parte della popolazione che gira oggi per Londra ha perso il filo delle proprie esistenze.
Tra poco più di un anno alcuni seguaci di Khomeini prenderanno in ostaggio il personale dell’ambasciata americana a Teheran, e un tizio ai più sconosciuto di nome Pol Pot comincerà la sua veloce ritirata dal territorio di un Paese di nome Cambogia. Sud est asiatico, per quello che ne so al momento: due milioni e mezzo di cadaveri alle sue spalle, discutibile, personale contributo alla lotta contro l’incremento demografico del pianeta.
Ma tutto quello che riportano i quotidiani del giorno è il ritrovamento di un pezzo grosso della politica italiana nel bagagliaio di un’auto a Roma, il trionfo del travoltismo in mezza Europa e gli ennesimi episodi di violenza tra punk e skinhead all’uscita del Roxy Nightclub, qui a due passi dal Jimmy Roger Market Shop.
Questo è quello che al giorno d’oggi ti propinano come realtà.
Questa è quella che ti spacciano per civiltà.
Il mio attuale lavoro consiste nel vagare in uno spazio di circa dieci metri quadri all’angolo tra Oxford e Regent Street con indosso un doppio cartello in plexiglass colorato. Sulle superfici del cartello sta scritto: HAMBURGER McDONALD, LA MIGLIORE SOLUZIONE PER LA VOSTRA PAUSA PRANZO.
Concorrenza. Libero mercato. E se il mio capo mi vedesse qua adesso, a consumare la mia misera pausa pranzo seduto a un tavolino del Jimmy Roger Market Shop con un fantastico Jimmy Roger Burger tra le mani, non basterebbe la carta dei diritti dell’uomo e tutta quanta la Convenzione di Ginevra a salvarmi le chiappe dall’ennesimo licenziamento dell’anno.
La solita vecchia storia della mia solita vita, ecco. Altro che ONU. Altro che Greenpeace e WWF. O quant’altro il cilindroumanità si appresti a sventolare di fronte agli occhi stupefatti della folla. Modello rullo di tamburi e tutti fermi ad aspettare.
Il mio capo, ad esempio. Il mio cosiddetto ‘diretto superiore’. Il mio cosiddetto ‘anello di collegamento tra le bollette da pagare e il marciapiede’. La mia attuale salvezza. Mr camicia rosso pomodoro attillata. Mr efficienza e simpatia. Mr diploma di terza media addetto al personale.
Il mio capo non capirebbe mai l’enorme divario che separa una salsa Jimmy Roger dal migliore degli hamburger McDonald. La necessità di spostarsi sempre un poco più in là, dal concreto verso l’intangibile, dal terreno verso il trascendente. Un piccolo passo per un hamburger, ma un balzo immenso per le papille gustative di un uomo.
Me ne sto qui seduto a pensare che la salsa di un Jimmy Roger Burger è chilometri d’evoluzione avanti rispetto a una qualsiasi altra salsa da condimento di un qualsiasi McDonald del mondo, e che secoli di sviluppo di storia dell’arte e di operazioni politico-militari, secoli di rivoluzionarie dichiarazioni fanatico-religiose o similari, non sono mai riuscite a provocare alcuno scarto realmente significativo nella storia della Civiltà.
Gesù Cristo e il suo Dio che nessuno vede.
Maometto e il suo paradiso di donne concubine.
Buddha e la sua reincarnazione.
Mai una dimostrazione, mai un evento decisivo, definitivo. Mai qualcosa che abbia portato a un risultato chiaro e inoppugnabile. Una prova certa. Tipo: “risolto il problema Dio”. Tipo “guai a chi sgarra”.
Tipo: “da oggi sappiamo che c’è qualcuno lassù che ci guarda”.
Occhio gente.
Pay attention.
Il giornale di oggi dice accoltellamento a Soho. Dice lotta alla prostituzione. Dice bande di giovani teppisti in vespa a Brighton e possibile spaccio di stupefacienti.
Dice: la legge vieta il consumo di droghe.
Me ne sto lì a pensare che nel XX secolo tutto quanto il sistema giudiziario di uno dei Paesi più sviluppati di questo Pianeta si basa in buona parte sulle dichiarazioni che un tizio può fare di fronte ad altri tizi appoggiando la mano sulla copertina di un libro che magari non ha neppure mai letto.
È stato lui.
Lo riconosco.
È lui. Sicuro e certo. Tutta la verità nient’altro che la verità.
Di questo è fatta la legge.
Di questo è fatta la realtà.
Questo è quello che al giorno d’oggi ti propinano per evoluzione.
Ecco.
Il ragazzo che se ne sta seduto al Jimmy Roger Market Shop con un Jimmy Roger Burger tra le mani dovete immaginarvelo così: con un’espressione stranita tra labbra e capelli, pupille macroscopiche, barba incolta, sudore sulla fronte e una montagna di fazzolettini usati sparsi sul tavolinetto in plastica arancione. Dovete pensarlo con un doppio cartellone pubblicitario con su scritto HAMBURGER McDONALD, LA MIGLIORE SOLUZIONE PER LA VOSTRA PAUSA PRANZO appoggiato di lato, e un giornale aperto davanti, e l’addetto alla gestione del Jimmy Roger Market Shop che gli si fa incontro e gli dice che deve smammare da lì e di corsa, anche. Togliere il disturbo. Sparire. Alzare i tacchi portandosi dietro quel maledetto cartello che ha accanto, perchè altrimenti lo denuncerà a chi di dovere per concorrenza sleale, per comportamento scorretto, e per chissà quante altre infrazioni di cui è pieno il regolamento interno del cosiddetto ‘libero’ commercio.
Questo ragazzo, cioè il sottoscritto, dovete immaginarvelo con scarpe a tennis ai piedi e l’espressione di chi oramai non si lava più da una settimana e passa le sue giornate a chiedersi dove sono nascoste tutte quelle alternative di cui tanto parlano i quotidiani di oggi; dovete immaginarvelo con ancora la bocca piena a tentare di spiegare all’addetto alla gestione del Jimmy Roger Market Shop che i suoi orari di lavoro coincidono inevitabilmente con quelli di apertura del suo fantastico punto ristoro e che non gli è possibile abbandonare altrove l’unico mezzo di sussistenza che attualmente lo separa dalle mense della Caritas: altrimenti detto ‘cartello in plexiglass colorato’. Tra il deluso e l’incazzato. Lontano chilometri da casa. Fermo a realizzare che il tizio che ha davanti non si è neppure preoccupato di ascoltare una sola delle sue parole. Come se la salsa del Jimmy Roger Market Shop non sia cosa che lo riguardi. Come se non fosse di una delle creazioni alimentari più affascinanti degli ultimi anni che si sta in questo momento parlando.
Come se il più struggente risultato di secoli d’Arte rinchiusi alla National Gallery non sia la disarmante ammissione di fallimento dell’Arte stessa.
Proprio così. Perchè nessun quadro conterrà mai in sè abbastanza vita da poter entrare in quella delle persone che lo stanno guardando. Non abbastanza da cambiarla.
Non quanto la cambierebbe un evento soprannaturale. O un messaggio divino. O qualcosa d’inspiegabile.
Così, dovete immaginarvelo: in un angolo di una grande metropoli con un Jimmy Roger Burger tra le mani e un suo coetaneo in maglietta verde che gli sta urlando di fronte.
–––A pensare–––
Primavera del 1978.
Ecco quello che al giorno d’oggi ti rifilano come ristorazione.


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