Brun Buozzi e una tragica morte

Da Brunougolini


Tempo di anniversari. Come quello che ricorda l’assassinio, 70 anni fa, il 4 giugno del 1944, da parte dei nazisti di Bruno Buozzi, socialista, tra i fondatori della Cgil, accanto a Grandi e Di Vittorio. Un episodio, quello della sua morte, narrato come  “l’eccidio della Storta”, una località nei pressi di Roma, e avvenuto proprio nelle ore in cui i tedeschi fuggivano e arrivavano gli alleati americani.  Attorno alla orribile fine del capo sindacale, tra i padri del riconoscimento delle “commissioni Interne”, gli organismi operai di base, sono nati molti interrogativi. Tra questi quelli relativi a un “traditore”, forse anche di appartenenza comunista (versione poi smentita). Sulla sua vita e sul tragico epilogo fa luce il volume di Gabriele Mammarella “Bruno Buozzi (1881-1944) Una storia operaia di lotte, conquiste e sacrifici” (Ediesse in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, diretta da Carlo Ghezzi). Per oggi, anniversario della morte, martedì 3 giugno 2014, alle ore 18.00, la Fondazione Di Vittorio, e la CGIL di Roma-Lazio  hanno promosso una manifestazione a Roma presso il Monumento ai Martiri (Giardini Via Labranca) con Claudio Di Berardino e Susanna Camusso. Un altro anniversario, nella stessa giornata che ricorda l’assassinio di Buozzi, riguarda il “patto di Roma” ovverosia la nascita (fortemente voluta dal martire socialista) di “un sindacato libero nell’Italia liberata”.  Le due ricorrenze faranno da contrassegno, il 4 giugno   al convegno voluto dalle Fondazioni Di Vittorio, Giulio Pastore e Bruno Buozzi presso l'Ara Pacis. Con Carlo Ghezzi, Giorgio Benvenuto, Pietro Craveri, Emanuele Macaluso, Giuseppe De Rita, Luigi Angeletti .Raffaele Bonanni, Susanna Camusso, Aldo Carrera . (b.u.)

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…Provando a ricostruire le ultime vicende della vita Bruno Buozzi, il primo elemento che balza all’attenzione è la causa del suo arresto. Al riguardo non c’è alcun dubbio. Nelle parole dell’ex capitano delle SS Erich Priebke, fondamentali dati i suoi diretti rapporti con i delatori al libro paga del reparto della Gestapo di Roma, «Buozzi fu arrestato grazie ad una spia infiltrata nell’organizzazione che il sindacalista aveva creato. Si trattava di una persona insospettabile che faceva il doppio gioco».
Secondo i fautori del complotto, invece, non può che esserci un militante comunista che esegue nientemeno che gli ordini impartitigli dalla Direzione del Partito. Costatando l’assoluta mancanza di un fondamento documentario in questo genere di illazioni, non rimane che investigarne l’origine, i sospetti e le voci che le hanno ispirate.
Già nel ’44 si scoprono nel movimento socialista dei profondi malumori dettati dal repentino accostamento al Partito comunista; malumori che con il tempo si trasformeranno in una dissidenza esplicita nei riguardi delle scelte politiche di Nenni e che, a distanza di quattro anni, porteranno alla nota scissione di Palazzo Barberini, la cosiddetta “scissione socialdemocratica”. Esponenti della dissidenza sono i socialisti più avversi al regime sovietico, molti dei quali si richiamano al moderatismo di Buozzi e che, tra l’altro, sono stati molto vicini al capo sindacale durante l’esilio: Saragat ne è un esempio. Ma campioni della battaglia ideologica contro i comunisti sono gli “amici americani”, Luigi Antonini in testa. A Roma appena liberata, intanto, monta un altro tipo di malumore, molto più viscerale e intimo, ed è quello della vedova Buozzi e delle persone che, in questo frangente, le sono più vicine, come Vasco Cesari. Rina Buozzi non solo è profondamente addolorata per la tragica perdita subita, ma deve probabilmente sentirsi amareggiata verso chi, fino all’ultimo, l’ha tenuta all’oscuro della sorte del marito, non sapendo che a volerle risparmiare la verità è il marito stesso appena entrato nel carcere di Via Tasso. Infatti, nell’intento di evitarle ulteriori sofferenze, prima della liberazione di Roma, le è stato fatto credere che il marito non è stato catturato dai nazisti, ma che è riuscito a passare le linee nemiche e a dirigersi verso sud, proprio come lui stesso, prima di svanire nel nulla, le aveva anticipato che avrebbe fatto. Evidentemente, questo insieme di cose, unite alla consapevolezza che è stata una delazione a condurre i nazisti dal marito e, ancora di più, alla frustrazione di vedersi negata, prima dal Partito socialista e poi anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un’inchiesta sulle dinamiche dell’arresto di Bruno e della sua morte, nofaranno altro che esacerbare il suo stato d’animo e instillarle una serie di dubbi e di sospetti. Forse – deve essersi domandata la donna – i tedeschi sono stati solo gli esecutori dell’omicidio di Bruno. Forse è stato qualcun altro che lo ha voluto levare di mezzo. E forse quello stesso qualcuno vuole impedire che la verità venga a galla. Ma chi allora? Cui prodest? È ipotizzabile che a suggerirle una riposta sia Vasco Cesari. Un rapporto confidenziale «for government use only» inviato da John Clarke Adams negli Stati Uniti in seguito a una missione effettuata in Italia dopo la liberazione di Roma da una rappresentanza dell’American Federation of Labor guidata da Luigi Antonini recita: «During Antonini’s visit Vasco Cesari, the head of the electrical workers’ union, told Antonini in the presence of the Labor Attache [Adams] that Buozzi was murdered on Communist and not on Germanorders». Niente di più di una illazione, per di più contro ogni evidenza. Tuttavia sufficiente a gettare sui comunisti, e sui socialisti filocomunisti come Lizzadrie Nenni, un alone di colpevolezza. Entrato in rotta di collisione con Lizzadri e l’“Unità”, Antonini proverà persino a fare di questa insinuazione un capodi accusa utile a influenzare lo scenario politico italiano…
…Perché dunque Priebke,come dimostra nella sua autobiografia, è così informato sulla cattura di Buozzi? Presto detto. Tra le risorse che Kappler e Priebke annoverano tra i loro collaboratori vi è un ragazzo molto giovane «completamente sbarbato» che opera come staffetta «nelle file dei partigiani socialisti di Trastevere». Si tratta di un certo «Franz Muller», arrestato da tre sottufficiali tedeschi e «trasportato all’ufficio di Priebke a Via Tasso». Durante l’interrogatorio, vuoi sotto la pressione di pesanti ritorsioni, vuoi con la promessa di lauti guadagni, Muller offre a Priebke i suoi servigi fornendogli «una lista completa» dei membri del Partito socialista. Di questi, «un gran numero furono immediatamente arrestati e molti [...] uccisi». Buozzi fa parte della lista.
 ...Ancora una volta, la testimonianza riportata da Guido Rossi fornisce un prezioso riscontro, tramandandoci, contemporaneamente, il racconto delle fasi dell’arresto del vecchio sindacalista: Venne la Pasqua. Buozzi la trascorse fuori casa, presso la moglie. Il giorno successivo, il 10 aprile, egli era nuovamente con noi. [...] Fu una giornata di serena allegria: la quiete prima della tempesta. Trascorsero ancora due giorni col ritmo normale e giungemmo al giovedì 13. [...] E, fino alla sera, la giornata trascorse senza nessun fatto [...]. Fino alla sera, quando cioè me ne tornai a casa, come di consueto, dall’ufficio. Poco prima del mio caseggiato la strada fa una svolta a destra. Giunto a questo punto, mi avvidi che davanti al portone sostavano due macchine, una di grosse dimensioni e l’altra assai più piccola. Ebbi istintivamente, non dirò un sospetto cosciente, ma piuttosto un presentimento vago ed oscuro. Entrai, i portinai che mi videro forsemi guardarono con speciale interesse. (Ma perché non osarono avvertirmi fosse purecon un gesto?). Salii le scale leggendo il giornale e, arrivato all’uscio di casa mia, introdussi la chiave nel buco della serratura... Veder aprirsi e sentirmi precipitare addosso un qualche cosa di simile ad un orangutang scatenato, fu tutt’uno. Abbozzai un tentativo di fuga giù per le scale, riescii per un attimo a divincolarmi, poi inciampai, il mio aggressore mi fu addosso, mi ricoprì di una scarica di pugni e, aiutato da altri, mi portò a forza nell’abitazione. Dentro mi attendeva uno spettacolo agghiacciante: col viso rivolto verso una parete e con le mani in alto stava Buozzi sotto la minaccia di un mitra, attorno un quadro spaventoso di devastazione: tutto è stato messo a soqquadro. Non ebbi del resto molto tempo di osservare e, tanto meno, di chiedere spiegazioni: immediatamente mi si mise nelle stesse condizioni di Buozzi. Cercai di fare un rapido bilancio mentale della situazione in cui eravamo venuti così improvvisamente a trovarci, esame che si polarizzò subito sul punto essenziale della mia e nostra posizione: conoscevano la vera identità dell’ingegner Alberti? Se sì, eravamo entrambi perduti....]. Non volevo tuttavia darmi per vinto e, mentre Buozzi si manteneva tranquillo e silenzioso, io mi davo a protestare con la massima vivacità e la più imperterrita ostinazione, nonostante le robuste reazione manesche [...] che la loro reiterazione provocava nei miei aguzzini. Erano questi tre militi delle S.S. tedesche e tre fascisti repubblicani, accompagnati da un giovinetto italiano, che io e Buozzi conoscevamo molto bene, anche se non ne sapevamo che il nome cospirativo “Franco”. Aveva lavorato con noi professandosi socialista e, data la sua giovane età era stato adibito al servizio di staffetta. Ci aveva dunque tradito! Credo che la costatazione di un tradimento sia fra le cose più dolorose e disgustanti e certo essa in quel momento valse ad aggravare ancor più le mie già esasperate condizioni psicologiche, accentuandone quello che già era l’elemento dominante: lo sdegno e la rabbia impotente. Alle mie proteste il ragazzo cercava di calmarmi, assicurandomi che non avrei avuto fastidi. Così per un’ora e mezza, la mia abitazione fu teatro di un orribile spettacolo: due uomini al muro con le mani alzate e i mitra alla schiena, mentre gli sgherri, dopo aver rovistato e devastato ogni cosa, si erano dati a una specie di orgia, banchettando e bevendo”…
…Buozzi viene rinchiuso insieme ad altre sette persone al secondo piano, nella cella n. 6, un piccolo stanzino non più grande di 7,50 metri quadrati e completamente spoglio, il cui unico giaciglio è costituito dal pavimento. Una piccolissima presa d’aria ricavata solo recentemente da una finestra murata, lascia passare una quantità d’ossigeno appena sufficiente ai bisogni di un uomo solo. Al mattino, i prigionieri «notano del gonfiore alla gola» e non è raro che qualcuno cada svenuto. Una lampadina elettrica illumina permanentemente la stanza. L’unica dote a disposizione è una coperta completamente infestata dai parassiti, una gavetta militare e un cucchiaio di legno. La fame è un problema quotidiano, che cresce tremendamente man mano che la prigionia si fa più duratura...
...La situazione igienico-sanitaria è ancora più grave, e non solo per le conseguenze delle percosse e le sevizie inflitte a molti dei prigionieri. L’uso del gabinetto è limitato a due minuti di tempo la mattina e in taluni giorni, «secondo l’umore dei piantoni», anche una seconda volta nel tardo pomeriggio. Buozzi è colpito da emorragie a causa di un malore di cui soffre da tempo e queste limitazioni aggravano ulteriormente le sue afflizioni, solo in parte attenuate dall’intervento saltuario di un medico. Malgrado ciò il contegno del vecchio sindacalista è esemplare... 
…Il 28 maggio del ’44 tre ufficiali tedeschi, «Delegati Politici del Governo Germanico» prendono l’impegno formale di giudicare Bruno Buozzi che viene deferito al «Tribunale Speciale Straordinario di Roma». Il convulso susseguirsi degli eventi non consente tuttavia il normale corso dei processi contro i patrioti antifascisti. Nel pomeriggio di sabato 3 giugno ’44 ha inizio la ritirata dei tedeschi da Roma… Sulle strade cittadine, ingombre delle avanguardie tedesche che ritornano dal fronte e delle altre truppe appiedate, c’è un continuo susseguirsi di automezzi motorizzati e a traino animale stipati fino all’orlo. Le sedi usate dai comandi germanici sono in procinto di evacuare e, a nord di Roma, i bombardieri alleati danno inizio al bersagliamento delle vie consiliari per tagliare la ritirata delle milizie del terzo Reich. Anche Via Tasso deve essere sgomberata…
…Subito dopo la partenza, il camion con i quattordici prigionieri di Via Tasso dimostra «di non essere in grado di funzionare regolarmente». L’autoveicolo esce da Roma dalla «Porta del Popolo» e presa la via Flaminia si dirige verso il Nord «tra continui arresti del motore». La strada è per di più congestionata da «diverse migliaia di automezzi» e già all’altezza di Ponte Milvio il camion si trova sotto il fuoco dei bombardamenti degli aerei alleati. Qualche ora più tardi, sopraggiunto sulla Via Cassia, l’automezzo viene fatto segno di un altro bombardamento. È in questo momento che Perrone – secondo quanto affermerà lui stesso – si dà alla fuga dopo aver slegato qualche prigioniero. Nonostante che la sentenza, che vedrà Perrone assolto per insufficienza di prove, affermi che «non sono emersi elementi sufficienti e tranquillizzanti per trarne la convinzione che il Perrone abbia partecipato e, quanto meno, presenziato alla fucilazione» dei detenuti e lasci di conseguenza spazio all’ipotesi di una sua partecipazione all’eccidio, le sue dichiarazioni trovano in parte riscontro nelle dichiarazioni di Kappler. E questo riscontro, soprattutto per ciò che riguarda l’affermazione di Perrone secondo la quale avrebbe slegato qualche detenuto prima di fuggire, potrebbe finalmente far luce sui motivi che portarono all’esecuzione dei detenuti. Un’altra SS italiana presente sul camion poi, se si esclude l’idea che si tratti ancora di Perrone, nella stessa giornata del 4 giugno farà pervenire al Partito socialista un bigliettino con l’avviso di mettersi alla ricerca del camion con i prigionieri perché «strada facendo i tedeschi parlavano che al più presto volevano sbarazzarsi di tutti»…
...All’alba della domenica del 4 giugno il camion con a bordo l’ultimo gruppo di prigionieri prelevati a Via Tasso, poco prima della località “La Storta”, verso il 13° kilometro della Via Cassia, svolta a destra su una stradina di campagna mettendosi al seguito di una colonna militare tedesca composta da autocarri, jeep e alcune moto con il sidecar. A breve distanza, non più in là di 700 metri, si intravede un casolare: fa parte della tenuta del Castello detto della “Spizzichina”, di proprietà della famiglia romana dei Grazioli, ma ora requisito dai tedeschi dove vi hanno installato un comando militare per fronteggiare l’avanzata degli Alleati191. La sosta è dovuta alla pericolosità di viaggiare di giorno: i tedeschi infatti hanno paura di essere centrati dalle bombe degli aerei alleati.
... I prigionieri vengono fatti scendere e portati dentro un fienile situato nelle vicinanze. Poco prima del crepuscolo, verso le 8 di sera, secondo più testimonianze, un motociclista giunge all’“Ovile” a comunicare qualcosa a Kahrau e Pustowka (notizie sull’avanzata degli Alleati per alcuni, ordini per altri). I prigionieri vengono quindi scortati fuori dal fienile e condotti in un boschetto a 300 metri di distanza...
Li fecero scendere in fila – continua la dichiarazione di Duilio Polesi rilasciata nel corso del Processo Priebke – con le mani legate dietro la schiena e legati fra loro con unalunga corda [...]. C’era un tedesco di guardia ogni tre prigionieri. A capo della fila c’era un ufficiale. [...] Dissero che li avrebbero portati a lavarsi al fontanile. C’era del filo spinato. Io ero proprio lì, mi ero arrampicato su un albero per vedere. Mi sono passati accanto. C’era una strada che portava all’orto, una carrareccia. Mentre scendevano, uno dei prigionieri disse: “Ora ci portate a morire! Ora ci ammazzate!”. Li ho visti di spalle... li ho visti, erano quattro o in cinque in divisa, c’erano anche dei graduati o ufficiali. Ha sparato un solo tedesco, non era un soldato semplice (non aveva l’elmetto) e ha fatto fuoco con un’arma corta, una pistola. Uno ad uno... partendo da sinistra. Tutto durò non più di tre minuti…
…L’elenco dei caduti è noto ed è il seguente: Bruno Buozzi (63 anni), il generale di cavalleria emembro del Fronte Militare Clandestino Pietro Dodi (64 anni), l’avvocato e giornalista Lino SalvatoreEramo (48 anni), il capitano di fanteria e membro del Fronte Militare Clandestino Enrico Sorrentino(42 anni), il professore e partigiano socialista membro delle Brigate Matteotti Luigi Castellani(40 anni), l’ingegnere e partigiano socialista delle Brigate Matteotti Edmondo Di Pillo (40 anni), il maggiore della marina e membro del Fronte Militare Clandestino Alfeo Brandimarte (36 anni), il tipografo e partigiano socialista delle Brigate Matteotti Alberto Pennacchi (36 anni), l’insegnanteelementare e partigiano socialista delle Brigate Matteotti Saverio Tunetti (30 anni), il sottotenentedell’esercito e membro del Fronte Militare Clandestino Libero De Angelis (22 anni), il tenentedi artiglieria e membro del Fronte Militare Clandestino Eugenio Arrighi (24 anni), il capitano dell’esercito britannico di origine ungherese Gabor Adler (24 anni), l’ingegnere e partigiano socialista delle Brigate Matteotti Frejdrik Borian (24 anni), il ragioniere e partigiano socialista VincenzoConversi (28 anni). 
…Si chiudeva così la vita di Bruno Buozzi, che quarant’anni prima aveva decisodi consacrare il suo impegno mettendolo al servizio di un potente senso di giustizia sociale. E, ora, alla fine, in un certo senso confermava quella scelta, sottoscrivendo con il sangue il patto che aveva fatto con la propria coscienza.
 
 

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