È divertente anche il termine “mappazzone”, ormai entrato nell’immaginario degli italiani…
«Non è una parola inventata, in bolognese significa mettere nel piatto un casino di cose senza sapere perché. In cucina si va avanti solo mettendo nei piatti il proprio io. Non facendo “mappazzoni”».
La seconda edizione di Masterchef si è conclusa. Cosa augura alla vincitrice e che consiglio dà ai tanti ragazzi che sognano di fare gli chef?
«A Tiziana auguro di avere nel futuro un buonissimo lavoro, entrare magari nel mondo della ristorazione. Naturalmente dovrà giocarsela. Ai ragazzi che vogliono provarci in cucina, di tentare senza mollare mai, ma non tutti possono farcela».
In quest’edizione siete stati molto più cattivi…
«È chiaro che abbiamo dovuto alzare il tiro, i concorrenti conoscevano già le nostre mosse avendo già visto la prima edizione. Quindi dovevamo essere più duri perché la vittoria a Masterchef può cambiare la vita.
La crisi economica non fa allontanare gli italiani dall’alta cucina?
«Credo che si possa fare alta cucina senza spendere tanto. L’importante è poter lavorare grandi materie prime e ricordarsi che sotto casa c’è il "fruttarolo", il pescivendolo, il mercato. In questo ogni angolo d’Italia è straordinario. Ci sono materie prime povere come il pesce azzurro, le carni, la norcineria italiana che non è solo il culatello, ma anche i ciccioli di maiale. La cosa fondamentale è cucinare bene anche in casa e ricordarsi sempre che mettere in tavola un piatto è un atto d’amore».
Dopo Masterchef, gli italiani hanno cambiato atteggiamento nei confronti del cibo?
«Intanto la grande serietà e professionalità della produzione di Masterchef ha cambiato il modo di fare cucina in televisione e ha modificato anche la sensibilità degli italiani nei confronti del cibo e della sua preparazione. Attraverso i social network sappiamo che la gente che ci segue, poi cucina a casa, cerca ingredienti genuini. In qualche modo abbiamo rilanciato la tradizione italiana del cibo che è fatta di tanta gente che lavora e tantissimi piccoli produttori. Questo è un bene perché il made in Italy non è solo Dolce&Gabbana, Giorgio Armani e la Ferrari, ma anche il cibo e il territorio italiano. Noi ce ne accorgiamo quando siamo all’estero».
Ha cucinato per tanti vip. Ne ricorda qualcuno in particolare? C’è stato qualcuno che l’ha delusa, magari per aver chiesto riso in bianco?
«Quando è capitato c’è stato sempre un motivo molto valido per farlo. Io stesso sto molto attento a quello che mangio perché voglio mantenere la linea. Ho cucinato per tanti personaggi importanti: la figlia di Charlie Chaplin, Ayrton Senna, Vasco Rossi e per il grande Lucio Dalla che era uno che col cibo stava molto attento, così come tutti quelli che fanno un mestiere impegnativo. Tra i pranzi che ricordo di più quello dell’incontro privato tra papa Wojtyla e il presidente della Repubblica Cossiga».
Nel suo Cotidie passano tanti vip?
«Ne sono arrivati tantissimi, da Kate Moss al batterista dei Pink Floyd Nicholas Berkeley. Però Londra vive il mondo dei vip in un modo completamente diverso. Io ho pranzato al tavolo con Kate Moss, ma gli altri clienti pensavano al cibo e non se la filavano molto».
Twitter @mariellacaruso Facebook: Volevo fare il giornalista
(Mia intervista pubblicata su Vero nr. 9)