Bruno Giacomelli ci racconta qualche splendido ricordo della sua avventura nel mondo dei motori
Ricordo la mia prima vittoria in f.3, fu a Silverstone. La foto mi ritrae sul podio, era il 1976. A premiarmi c’era Bernie Ecclestone. Oggi è tutto cambiato. Non c’è più la corona d’alloro per il vincitore. Nella foto si vedono anche i fiori, bellissimi.
Oggi è cambiato tutto. Ad esempio i caschi. Quando io da ragazzo andavo a Monza, stando in parabolica ero in grado di riconoscere un pilota quando usciva dalla Variante Ascari a quasi 1000 metri di distanza e solo per la livrea del casco che, in molti casi, lo accompagnava per tutta la durata della sua carriera. Ora i piloti cambiano colorazione in continuazione.
Io ho usato lo stesso casco per anni. Oggi ne cambiano anche due in un week end di gara. Usavamo guanti e scarpe fino a che non erano completamente consumati, a volte anche per scaramanzia. Ma bisogna fare attenzione. La stessa cura che c’è oggi per le vetture, c’era anche quando correvo io e c’era anche ai tempi di Nuvolari e delle Frecce d’Argento, ovviamente in relazione a quella che era la tecnologia del periodo.
Il mio primo casco, che ho pagato una fortuna, era un Bell Star arancione: mi ha accompagnato per tutta la mia carriera, non ho mai voluto cambiarlo, anche se avrei voluto. Sulla calotta disegnai 5 diamanti stilizzati (rombi), questa era l’idea. Anni dopo ho scoperto che anche i fantini usano molto questa simbologia. Sono segni portafortuna.
Al mio debutto in F1 nel Gran premio d’Italia del 1977 con la McLaren M23 usai quel casco: era quello che avevo usato con la Formula Ford al debutto nel 1972, con la Formula Italia, con la Formula 3 e con la Formula 2.
Ho fatto il mio primo Gran Premio di F.1 a Monza, come dicevo sopra. Era la stessa McLaren M 23 usata da Gilles Villeneuve lo stesso anno a Silverstone, per il suo debutto in F1. Conservo ancora oggi il musetto di questa vettura. Avevo il numero 14, che è incollato. Sotto, verniciato, si intravede il numero 1 di James Hunt.
Poi firmai per la McLaren per partecipare a 5 GP l’anno dopo il 1978, Gilles firmò per la Ferrari. Con Gilles ho avuto un ottimo rapporto, ci vedevamo spesso a Montecarlo. Sono stato a casa sua dopo i fatti di Imola. Stavamo mangiando insieme. Gilles amava molto le scaloppine al marsala e mangiava praticamente solo quelle, non variava molto. Mentre chiacchieravamo, in televisione ha sentito che intervistavano Pironi ed è corso subito nell’altra stanza per sentire. Gli ha imprecato contro, non accettava la sua versione. Lui ad Imola aveva tirato, dando battaglia fino a far esplodere i turbo di Prost ed Arnoux. Pironi era rimasto dietro, preservando la macchina. Il cartello “Slow” lo aveva interpretato, come doveva essere, come un mantenere le posizioni. Così non fu. Dopo il primo sorpasso di Pironi, Gilles pensò che il francese volesse dare spettacolo. Gilles lo passava e poi rallentava. Ma ecco che Pironi gli si faceva sotto e lo risorpassava. Alla fine sotto la bandiera a scacchi transitò per primo Pironi, nello stupore di Gilles e di tante persone. La Ferrari non si comportò troppo bene nei suoi confronti e di questo ho già parlato in altre occasioni. Comunque non vedo una connessione diretta tra i fatti di Imola e l’ incidente di Zolder. Un pilota è abituato a sentire e gestire certe pressioni.
Dicevo della McLaren M23, un’ottima vettura. Al mio debutto in Formula 1 a Monza ho fatto anche uno dei camera car meglio riusciti. E’ quello che si vede nei titoli di coda del film “Formula 1 Febbre della velocità”. Finito il warm up della domenica, tutti i team firmarono una liberatoria, in quanto per regolamento non era una cosa che si poteva fare. Venne montata sopra la macchina una vera e propria cinepresa gigantesca, quelle che usavano per i film.
In realtà durante il giro vado piano, per non perderla. Uso solamente la quarta marcia. Solo in parabolica alla fine spingo un po’ e infatti si vede nel video una correzione.
Bruno Giacomelli