La mia vita, in questo periodo, assomiglia ad un budino con i grumi. A me il budino piace moltissimo ma, da preparare, è fetente. Non ti puoi distrarre un attimo che, pur avendo da subito sciolto bene tutto, si formano immediatamente palline di farina e zucchero o di polvere già preparata che si avvicinano al mestolo e risalgono su, per il manico, accomodandosi nell’incavo del cucchiaio e a nulla vale continuare a rimestare e prendere la frusta. Vincono i grumi.
Ho fisioterapia tre volte a settimana, di solito nella seconda parte del pomeriggio di lunedi, mercoledi e venerdi. Ogni volta ho sedute che oscillano tra le due, di rado, e le tre ore, più spesso. Martedi e giovedi dovrei andare in piscina a proseguire la riabilitazione – tra ire et redire due ore se ne vanno in un soffio e non sono neppure sufficienti ma altri decidono per me in questo caso: l’impianto chiude e mi cacciano fuori. Devo dimagrire, tanto, e dovrei fare esercizio aerobico quotidiano, qualunque cosa non preveda la posizione eretta: cyclette e nuoto. Ho la domenica per il secondo e scampoli di quarti d’ora per il primo ma non bastano. Dovrei stare a casa e concentrarmi solo su me stessa ma non posso. La mutua, più che richiedibile in questo caso, mi costringerebbe ad osservare gli orari di visita fiscale sette giorni su sette. L’infortunio l’avevo chiuso dopo otto giorni dal trauma, mai più immaginando che sarebbero passati due anni senza guarigione. Non lo riapro, non avrebbe senso.
Sto ritagliando le attività di cui sopra all’interno di un orario lavorativo normale che, sottoposto a queste variazioni, si allunga e si restringe a fisarmonica perchè gli straordinari non me li pagano più da dieci anni e se c’è da fermarsi, ci si ferma, come è giusto che sia dopo un certo livello di inquadramento nel quale si suppone ci siano, a forfait, almeno venti ore di lavoro al mese in più rispetto a quelle ufficiali.
Ho chiesto il part time, presa dalla disperazione, la settimana scorsa. I capi erano d’accordo, l’ufficio del personale no, lo ha dichiarato incompatibile con l’alta responsabilità della mia posizione. La mia posizione non ha nessuna altitudine: sono un quadro di basso livello, giro intorno ad uno stipendio superiore a quello di un operaio non specializzato o di un impiegato medio, non certo grazie alla laurea o ad un mazzo tanto ma, principalmente, a tre cambi di lavoro in dodici anni, uno dei pochi modi per una donna che lavora in azienda e che gioca pulito di ottenere duecento euro in più lordi una volta ogni tanto. Sono cinque anni che non vedo un aumento che non sia quello contrattuale del settore metalmeccanico. Non ho prospettive di carriera nel breve o nel medio termine, non sto imparando niente di nuovo e non ci sono progetti all’orizzonte o, meglio, se ce ne sono non sono per me. Prendi permessi non retribuiti, mi hanno detto.
Una collega ha avuto purtroppo un serissimo problema di salute, qualche giorno fa, e rimarrà assente per molto e, tra i miei salti mortali, c’è stata pure qualche ora per supplirla, visto che in pochissimi sanno cosa lei faccia. Io non volevo il part time per lavorare di meno: io avrei voluto il part time perchè ho un’esigenza di salute che in questo momento ha la priorità su qualunque cosa ma non so cosa fare e come fare per gestirla nel modo corretto senza diventare matta. Comincio ad essere troppo vecchia per fare i salti mortali.
Non ho il tempo di preparare l’esame di spagnolo C1 per maggio, è meglio che me lo levi dalla testa e rimandi il progetto a novembre. Mi dispiace, è un’occasione sprecata. Non ho tempo per leggere, non ho tempo per vedere gli amici, non ho tempo per questo blog e scrivere mi manca, non ho tempo per rispondere alle email, non ho tempo per leggere i vostri, di blog, o, se li leggo, lo faccio con tale velocità che non mi vengono neppure in mente i commenti; per fortuna vado in piscina: lì, insieme al movimento, mi lavo anche e almeno questo è fatto senza ore aggiuntive.
Ho il fine settimana, corto e velocissimo, per tirare il fiato e recuperare il sonno ma non basta: lo spreco quasi tutto in ore catatoniche. Mercoledi riparto per lavoro, vado a fare una cosa che mi piace ma saranno di nuovo cinque giorni di interruzione delle terapie. E il ginocchio fa sempre male, ad ogni passo. Sommo al bruciore fisico il nervosismo e il malumore che crescono, la consapevolezza che sto facendo troppe cose e tutte male ma anche quella che non ho possibilità di rallentare. Mi invade una sensazione di prigionia che mi fa mancare il fiato e mi spinge alla ribellione.
Allora occupo i pochi minuti liberi che ho per leggere di gente che ha mollato tutto, ha mandato a farsi benedire il sistema precostituito e ha trovato l’energia e il coraggio per ricominciare da capo, seguendo la passione e non il denaro. Poi penso che c’è gente che fatica molto più di me, con lavori più umilianti, in situazioni di salute molto più critiche e per procurare da mangiare ai propri figli e mi dico di smettere di essere immatura.
Però non mi convinco, non funziona, non dura. A me gli altri interessano dopo: prima vengono le mie esigenze, se non sto bene.
Sto solo sopravvivendo, in queste settimane; lo farò anche per le prossime, ed è un enorme spreco di energia, continuare a sciogliere i grumi, uno dopo l’altro, mentre si riformano.
Forse sarebbe meglio togliere il padellino dal fuoco.