Magazine Cinema
Spagna, Filippine, 2011
71 minuti
"La mattina del 25 ottobre 1593, un soldato filippino di stanza a Manila, apparve improvvisamente a Città del Messico."
Traendo ispirazione da quanto riportato qui sopra (uno dei più antichi resoconti sui fenomeni di teletrasporto), il giovanissimo Raya Martin (classe 1984) ma già considerato tra i maggiori e più eclettici artisti della cinematografia filippina, catapulta la coppia protagonista nel finale di Buenas Noches, España all'interno di un paesaggio surreale e sconfinato.
Una dimensione "astrale" composta da rocce, acqua, detriti di fango (immancabile la pioggia che bagna il terreno, come nei film del connazionale Lav Diaz) per poi farli scomparire con un balzo verso l'alto, in direzione di quella Luna, intenzionalmente omaggiante il Viaggio di Méliès, che sembra ridisegnarsi nel bianco dell'ultimo fotogramma. Un black-hole che è il corrispettivo del nero invadente della schermata iniziale, dalla cui profondità, all'opposto, si schiudono i bagliori intermittenti generati da uno schermo tv; solamente che siamo noi, il tubo catodico che inghiotte la coppia seduta sul divano mentre un'ipnotica sincope sonora prende forma, accompagnado(ci)li in direzione di un viaggio psichedelico e in parte, continuativamente memore della storia del colonialismo. A differenza però di film come Short Film About the Indio Nacional (2005) e Independencia (2009), chiaramente intenzionati a rielaborare attraverso un linguaggio da cinema muto il passato delle Filippine, questa volta risiede nella capacità dello spettatore individuare (per quanto possibile) la traccia storico/politica, che percorre ipogea, almeno fino all'addentrarsi dei protagonisti tra le stanze del Museo d'arte contemporanea di Bilbao, luogo espositivo delle opere di Juan Luna (il più importante artista filippino della rivoluzione) e della loro successiva estasi di fronte a un quadro che, tra lacrime di profondo trasporto, sembra sospenderli nel vuoto il tempo necessario per quel balzo temporale che li rivedrà catapultati in un ipotetico Messico, nel silenzioso finale.
Al regista, interessa virare (in tutti i sensi) verso i lidi dell'alterazione percettiva legata all'uso delle droghe (1) e lo fa, avvalendosi di tutto quell'apparato tecnico (graffiature, sovrapposizioni/esposizioni, bruciature, cromatismi, e quant'altro) atto a trasformare Buenas Noches, España in un autentico film avant-garde; una psichedelia cromatico/sonora (eccetto l'ultima scena, nessun fotogramma mantiene il suo colore originale, virando costantemente tra l'alternanza di colori primari accompagnati da un incessante noise di chitarra elettrica) audacemente vintage che sembra riemergere direttamente dalle allucinanti elaborazioni di un Stan Brakhage, o di un Frans Zwartjes il quale, tra l'altro, sembra materializzarsi figurativamente nella sequenza dell'incursione della coppia all'interno di un bosco, intenta a contemplarne la natura/spazio (come lo spazio geometrico in Living). Segmento da cui traspare già quell'assenza, quel vuoto che si completerà nell'epilogo dove la deframmentazione acustico/visiva che ha imperversato fino a quel momento, svanisce di colpo ricomponendo un'immagine a suo modo stabile e per questo, privata della sua cromaticità convulsa. E' un processo, quello di Martin, che rimanda in parte a quanto già iniziato con Now Showing (2008) e nel quale, Buenas Noches, España, s'interpone come tassello centrale; una continua ed insistita smaterializzazione, e riformulazione dell'oggetto video, destinata a trovare perfetto compimento nell'opera definitiva, La Ultima Pelìcula.
(1) "Mi servo spesso del concetto percettivo legato all'uso delle droghe per spiegare i passaggi tra una scena e l'altra, il flusso di immagini che si viene a creare... Certi film dovrebbero funzionare così, proprio come delle droghe." - Raya Martin
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