Bufera sulle primarie, quando la democrazia è rom

Creato il 10 aprile 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte viene da pensare che la libertà non è fatta per chi non se l’è conquistata con la fatica e la responsabilità, per chi ne ha paura, perché richiede impegno e manutenzione, per chi la converte in licenza da regole e leggi, per chi la fugge per annullarsi nell’anonimia indifferente del privato quotidiano.

Lo stesso sembra valere per la democrazia, interiorizzata nel migliore dei casi come un richiamo morale cui è perdonabile rispondere solo ad intermittenza, quando fa comodo, come una figura retorica con la quale infarcire moniti e non come un imperativo al quale tutti dobbiamo contribuire con gli atti e la volontà.

Ieri mentre i parlamentari 5stelle  leggevano la Costituzione – magari l’avessero letta prima – anche quella diventata un valore intermittente, una pelle di zigrino da tirare di qua e di là come fosse elastica o precaria, secondo la moda del tempo, alterabile e addomesticabile in caso di fiscal compact, invariabile in caso di matrimonio omosessuale, intanto si consumava un’infamia non tanto piccola ai danni della Carta, della democrazia e dell’uguaglianza tra i cittadini.

Nell’ambito di quella liturgia tanto pubblicizzata delle primarie del Pd, propagandata come cerimonia democratica per antonomasia, accreditata come esercitazione di partecipazione di gran lunga superiore alle elezioni per via dei 2 euro e del fatto che si svolge tra affini, in un’atmosfera ecumenica di riconoscimento  di amici, alcuni,  scontenti del risultati,  hanno sollevato grande scandalo: la bellezza del rito in casa Pd,  sarebbe stata contaminata dal voto di elettori irregolari, non legittimati, in una parola,  rom.

La “campagna” è partita da una dirigente “trombata”, Cristina Alicata, ed è stata subito ripresa dal Movimento 5 Stelle nella persona del candidato sindaco Marcello De Vito che ha scelto questo tema per il suo biglietto da visita,  poi sul web da tutti i blog della destra e diffuso da tutta la stampa, e infine dalla Belviso, vicesindaco, numero 2 di Alemanno, autorizzandola a  informare voluttuosamente  l’autorità giudiziaria,  che annuncia: ”Spetterà quindi ai pm valutare se ci siano gli estremi per procedere all’apertura di un fascicolo di indagine».

Non mi soffermo neppure sull’indole al suicidio e sull’istinto all’autodissoluzione di un partito che del suo bagaglio storico sembra aver conservato solo questa inclinazione descritta e interpretata variamente da  Lenin o da Moretti, come malattia infantile o “facciamoci del male”.

E mi auguro che la Alicata, che si è provvidenzialmente dimessa, sia stata soltanto ottenebrata dall’insuccesso e non abbia invece voluto riprendere ed esaltare quella componente della politica dell’infamia istituzionale abbracciata dall’ex sindaco Veltroni, promossa con pienezza dall’attuale sindaco Alemanno, che identifica nel rom l’ospite sgradito, oggetto di una xenofobia legittima e comprensibile: che si sa rubano, sono sporchi, sono indolenti, non si integrano, vivono come un bubbone velenoso ai margini della nostra bella e ordinata capitale compromettendone l’immagine. Tesi oggi più gradita che mai quando si materializzano altri marginali, nuovi e disperati, a chiedere l’elemosina ai semafori, a contendersi   baracche di lamiera, italianissimi e romanissimi, espulsi da quella società del benessere, dell’opulenza  e delle garanzie, che non è più tale.

Non conosco la storia dell’Alicata, ma lei dimostra di non conoscere la storia e nemmeno i più elementari rudimenti di educazione civica.  E di non avere contezza di chi siano gli abitanti della città nella quale vive e si è candidata  a fare il sindaco.

Gran parte dei rom di Roma sono cittadini italiani da generazioni, altri lo sono diventati  per il loro status di rifugiati. Anche senza saperlo, si doveva intuire visto che per votare alle primarie si deve esibire, oltre ai fatidici  2 euro, il certificato elettorale.

E giustamente dunque la sua inappropriata “denuncia” ha suscitato la reazione della comunità rom di via Candoni che l’ha accusata di istigazione all’odio razziale con una nota molto severa: “Come comunità, abbiamo inoltre deciso di denunciare alla procura della Repubblica Cristiana Alicata e Marcello De Vito per diffamazione e istigazione all’odio razziale, e contestualmente di inviare una lettera firmata da tutti coloro che domenica si sono recati regolarmente ai gazebo elettorali alla commissione europea per i diritti umani affinché ciò serva da monito e da deterrente per scoraggiare qualsiasi futura campagna di stigmatizzazione e diffamazione delle comunità rom”.

È un sintomo in più dei mali della democrazia,  che non si vogliano gli “altri” nei seggi elettorali.

Lo dimostra la pervicace esclusione dei  migranti residenti dal voto nelle elezioni politiche, della quale sono  autori molti governi e organi legislativi di paesi d’immigrazione, che negano loro anche questo  diritto   fondamentale, ma allo stesso tempo li contano come parte della popolazione nazionale, gonfiando così la torta dei seggi  da spartire, come una vera e propria rendita elettorale a favore dei sistemi politici vigenti. Se li vuole come contribuenti, rifiutando loro diritti fondamentali. Se affida loro vecchi, malati, bambini, ma li condanna ad essere fantasmi nello svolgersi della  vita civile.

L’Alicata si è dimessa, ma il Pd dovrebbe forse dismettere l’aggettivo democratico, se ne ha tollerato l’usurpazione e l’abuso commessi dai suoi dirigenti, in questo e in altri casi. E collaborando a un nuovo subdolo totalitarismo che ai rom piu’ che ad altri,  ricorda quelli del passato,  se nei gorghi di una società  solo apparentemente “confortevole, levigata,  ragionevole, democratica “  si sviluppa  quotidianamente  l’insensatezza,  si sperimenta lo sfruttamento senza il profitto e il lavoro senza il prodotto, dove si giustifica la punizione senza il reato,  dove si legittima l’emarginazione e si stabilisce, per legge e  per riforma, l’esclusione dai diritti.


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