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Torna BuioDoc, la rassegna dei migliori documentari.
Ormai sto iniziando a convincermi che tante delle cose più belle che ci sono nel nuovo cinema le si trovino nei documentari. Tanti potrebbero invece dirmi che sono le serie tv la nuova grande forma di cinema e lo so, hanno ragione, ma mentre quasi tutti ormai sono update e non si perdono una serie, io lentamente sto riscoprendo questo mondo artigianale e vecchio come la notte dei tempi che è il documentario.
Che ce posso fa.
Sugar Man poi del documentario ha poco. Nel senso che il mezzo che viene usato non è poi così importante. Perchè Sugar Man è principalmente una storia, una grande storia. E un uomo, un grande uomo.
Una storia al confine tra l'incredibile e il maledetto che si incrocia poi con quella del regista, Malik Bendjelloul, mio coetaneo morto suicida l'anno scorso. La storia di Sixto Rodriguez e quella del regista che ha deciso di raccontarlo si fondono così in qualcosa di unico, di umanamente così denso che si fa fatica a vederne i contorni. O a capire.
Perchè è difficile capire come un uomo che solo l'anno prima ha avuto la curiosità e il privilegio di cercare e raccontare una storia così poi l'anno dopo sia lo stesso uomo che decide di uscire di scena definitivamente dalla vita.
Ed è difficile capire come un uomo che ha venduto milioni di dischi in realtà possa non solo non averlo mai saputo ma, trovato poi il successo, sia rimasto comunque lo stesso uomo.
Uomini che cambiano, uomini che non cambiano, uomini che mollano e altri che resistono.
Sixto Rodriguez è un meraviglioso sconosciuto cantante nella Detroit dei primissimi anni 70.
Canta solo ballate, canta storie.
Sono storie tristi, malinconiche, di degrado e povertà, di vite perse e di amori difficili.
Sono le storie che prende dalla vita che vive e osserva davanti a sè.
Testi bellissimi in cui ogni singolo verso sembra aver potenza, non c'è una sola frase che sembra scontata, banale o superflua. E una voce che sembra fatta apposta per cantarle.
Tutti quelli che lo hanno conosciuto e sentito lo considerano uno dei più grandi di sempre, uno che Bob Dylan in confronto non è nessuno,
Ma negli Usa non vende praticamente una copia e se ne torna a fare l'operaio edile, un lavoratore instancabile che, come dice un suo collega quasi filosofo, sapeva trascendere e far diventare nobile e poetica ogni cosa che faceva, anche rompere un muro.
La leggenda dice che una ragazza porti il suo primo cd (ne ha fatti due) in Sud Africa e ne faccia qualche copia per gli amici. Leggenda o no poco tempo tempo non c'è luogo in Sud Africa dove non si ascolti Rodriguez. Siamo negli anni più duri dell'Apartheid, anni di regime in cui anche la musica, la radio, la stampa e la tv erano fortemente controllati. Ma la gente inizia a sentire sto cantante che parla di loro, degli ultimi. E di uguaglianza, di riscatto sociale, di lotta. Forse anche grazie a Rodriguez si comincia a protestare e lottare laggiù. Diventa famoso come i Beatles. Ma lui, e la stessa America, non lo sanno. Ma come Rodriguez e gli Usa non sanno di quanto successo stia avendo in Sud Africa così lo stesso Sud Africa non sa nulla di Rodriguez. Hanno solo la foto di copertina dell'album, nient'altro. Si dice si sia ucciso in un concerto. Qualcuno inizia ad indagare. Ci vorranno anni e anni. Ma Sixto è vivo. Ed è sempre lì, a Detroit, a rompere muri.
Doc potentissimo che ha una prima parte e l'ultima così intense che quella centrale diventa quasi una conca tra queste due montagne, apparendo più piatta e ripetitiva.
Perchè all'inizio, tra le nebbie di Detroit, inizi ad innamorarti di questo uomo, di questa voce, di questi testi. Lo senti subito che questa è musica fatta da qualcuno nato per farla. E Rodriguez diventa subito icona, là, che canta di schiena in mezzo al fumo di sigarette. E in quel fumo rimarrà per quasi trent'anni, nascosto, di schiena.
Poi c'è tutta la parte della ricerca, una ricerca quasi disperata che non ha appigli, che sti appigli cerca di trovarli persino nei testi delle canzoni. Magari si capisce da dove viene, magari lo troviamo.
In Sud Africa si è sotto regime e tutto viene bandito e censurato. I dischi di Rodriguez vengono ritirati, o rigati per non farli sentire. Che quella specie di messicano parla anche di droghe, di sesso, di cose che qua non si possono nemmeno nominare. Ma il popolo ribolle, anche il mondo della musica comincia ad "imitare" Rodriguez, le piazze si gonfiano di gente, la silente accettazione della sottomissione sta finendo.
Rodriguez è l'idolo e la voce di un popolo.
Poi siamo nel 1998. Sixto è stato finalmente trovato, gli dicono che laggiù, in fondo al Continente Nero lui è più famoso di Elvis, lo invitano.
Lui va, con la sua famiglia.
E c'è un concerto nel Marzo del 1998. E tutto è così magico, incredibile, sospeso, che ho faticato a trattenere le lacrime. Perchè tu vedi tutto il documentario e ti appassioni e ti incuriosisci e capisci tante cose ma solo lì, quando vedi quel palazzetto pieno di persone in delirio, quelle persone che hanno aspettato quasi trent'anni per vedere il ragazzo che li faceva credere in un mondo diverso, quando vedi loro è come se vedi l'anima di tutta questa storia e la reificazione di tutte le parole e le vicende sentite fino a quel momento.
Poi Rodriguez comincia a cantare.
"I wonder" sono le sue prima parole, quelle del brano che più andava in voga laggiù. E ci sentiamo in un'atmosfera magica, irripetibile. Un uomo che per 40 anni ha fatto l'operaio che riempe un palazzetto di migliaia di persone. E lo vedi che poteva far questo per tutta la vita, lo vedi che avrebbe riempito stadi ovunque.
Se solo lo avessero capito.
Rodriguez che non ha mai cantato su un palcoscenico come quello sembra averlo fatto centinaia di volte. E' la sua dimensione, è nato per quello. E poco importa se sarà solo questa volta, meglio una magia irripetibile che vale una vita intera che migliaia di giorni appena soddisfacenti.
Rodriguez è un uomo incredibile, uno di quelli che ci fanno sentire piccoli piccoli.
Ci sono cantanti, quasi tutti, che inseguono la fama per una vita intera.
Rodriguez non è un cantante che ha cercato la fama.
Ma la storia di una fama che ha cercato un cantante.
E quando lei l'ha trovato lui era lì, sorridente, l'ha presa per mano, ci ha fatto tre giri di valzer e poi l'ha lasciata di nuovo.
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