Magazine Cinema
Torna la neonata rubrica dei libri (la pagina è qua sopra).
So che sembrerà strano ma nella rece sono presenti... spoiler
E così ti ritrovi a 37 anni convinto, te come quasi tutti gli altri del resto, che la storia di quella Creatura la conosci, che se ti dicono "Frankenstein" te, un pò per il cinema, un pò per sentito dire, un pò perchè icona troppo grande, sei sicuro di sapere tutto o quasi. Anzi, fai anche il figo con quelli che ancora si confondono e chiamano "Frankenstein" la creatura e non il Creatore, "Ma come si fa " dici "a commettere ancora questo errore?".
E stai là, immaginandoti quel mostro altissimo fatto da tanti pezzi umani, te lo immagini anche coi bulloni, ti immagini il fulmine che l'ha creato, e quel suo incedere goffo e la paura che trasmette.
E invece poi a 37 anni leggi questo meraviglioso romanzo e ti accorgi che non hai mai saputo un cazzo, che nessuno, se non ha letto quelle pagine, ha mai saputo un cazzo.
Frankenstein è uno dei più importanti libri di sempre, non tanto per il testo in sè, ma per tutto quello che ha intorno, uno dei più incredibili e non c'è nemmeno l'ombra di un dubbio nel dire questo.
La sua genesi è già mito, con questa ragazzina di 19 anni che in villeggiatura col marito Shelley e altre persone (tra cui Byron) ha questo incubo terribile, e poi ci butta già il primo racconto, nient'altro che una divertente sfida di racconti in quelle notti di, stranamente, piovosa estate ginevrina.
Poi il racconto lo termina, diventa un romanzo, esce anonimo e crea subito un caso.
Poi uscirà col tuo nome, e il tuo nome è quello di Mary Shelley, e te hai solo 21 anni (e sei una donna!) ma sembri già conoscere tutto della vita, tutte le emozioni, tutti i vertici e gli abissi umani, hai una cultura spaventosa che spazia dalla letteratura alla filosofia, dalla fisica alla geografia, con quei luoghi raccontati come se te stessi là veramente (ma del resto sono tutti luoghi che la Shelley conosceva benissimo, specie l'Italia, le Alpi e la Svizzera).
E quello che hai creato, questa figura incredibile, questa creatura nata dalla morte, diventerà una delle figure più importanti della storia (letteraria, cinematografica e degli uomini tout court), una di quelle capaci di penetrare nell'immaginario collettivo in modo così massiccio che non ti stupiresti possa essere conosciuta dall'ultimo aborigeno d'Australia.
Sì, però st'archetipo non è come il vampiro o il lupo mannaro, st'archetipo l'hai creato te, giovane ragazza, non la leggenda. E così te in una notte piovosa ginevrina hai inventato qualcosa che resterà per sempre.
Ma poi arrivò il cinema e trasformò quello che avevi scritto in qualcos'altro di altrettanto potente, ma traditore.
Quanti sanno che Frankenstein è ambientato al Polo Nord?
Quanti sanno che la Creatura non è un ammasso di più pezzi umani?
Quanti sanno che parla in maniera più forbita del suo Creatore?
E soprattutto quanti sanno che questa Creatura è la più agile tra gli esseri viventi, capace di scalar ghiacciai come uno stambecco e dalla "velocità sovrumana"?
Noi abituati a vederla goffa, lenta e molte volte rappresentata come un mentecatto...
Forse la cosa più incredibile e curiosa è stata nello scoprire come nel libro non ci sia il minimo accenno al modo con cui Frankenstein abbia creato il suo mostro. Nessun fulmine, nessun assemblamento di pezzi di cadavere, niente. Solo questo:
"Era già l'una del mattino; la pioggia tamburellava con un suono cupo sui vetri e la mia candela era quasi consumata, quando, in quella luce tremula e agonizzante, vidi aprirsi gli occhi smorti e gialli della creatura: respirò a fatica, e un moto convulso le agitò le membra"
Queste tre righe sono tutto quello che sappiamo sulla creazione. Certo, prima Frankenstein ci aveva parlato dei suoi studi ed interessi, ci aveva descritto come lo affascinasse il concetto di vita e morte, come fosse rimasto folgorato dalla visione di un fulmine, come i suoi studi lo portassero verso terreni oscuri e quasi magici. Ne abbiamo tanti di elementi, ma ci lasciano solo supposizioni.
Facciamo un passo indietro.
Walton è un giovane avventuriero che vuole arrivare all'estremità del mondo, non solo al Polo Nord ma più in là di qualsiasi essere umano prima di lui. La sua nave rimane incagliata nei ghiacciai. Ad un certo punto vede, a quelle latitudini impossibili per l'uomo, una slitta guidata da una creatura mostruosa. Poi, dopo qualche tempo, una nuova slitta, questa guidata invece da un uomo.
E' Frankenstein.
Il romanzo non è altro che tutto il racconto che lui fa a Walton della propria vita (con la nascita nienetepopòdimeno che a Napoli), della sua creazione e delle sue tragedie. Lo chiameremmo flash back al cinema. Tornando a sopra, alla fine del libro, quando Walton chiede a Frankenstein qualche specifica in più su come avesse fatto a infondere vita alla creatura lo scienziato non glielo dirà, adducendo la motivazione che la cosa sia stata abietta e abominevole, qualcosa che non deve essere raccontata per non poter essere emulata.
Questa è la conferma di come la Shelley volesse assolutamente tacere su quello che poi, nel cinema, è diventato forse il momento più suggestivo.
Addirittura la creatura sarà sempre e solo chiamata "Diavolo" o "Demonio" da Frankenstein, come a confermare l'assoluta distanza e pentimento da quello che in teoria era il culminare di tutto il suo percorso di studi.
Ma di cosa parla il romanzo?
Dovete aver pazienza, perchè qua dentro c'è di tutto.
Intanto, e lo capiamo dalla prima parte, quella ambientata al Polo, i due personaggi, Walton e Frankenstein, pur così apparentemente diversi, alla fine vogliono la stessa cosa, ossia superare i limiti umani, addentrarsi nei più profondi recessi della Natura, sfidare le conoscenze acquisite, ricercare l'Incredibile, andare oltre.
Ecco, l'andare oltre è il simbolo di tutto.
E questo "sfidare" le leggi umane sarà poi il pegno da pagare per Frankenstein.
E il conto sarà pesantissimo.
Ma del resto le straordinarie capacità dell'intelletto umano sono qualcosa di molto importante per la Shelley ed i suoi personaggi. La giovane scrittrice ha una profonda ammirazione dell'Uomo anche se, e nel libro verrà fuori in maniera prorompente, ne conosce perfettamente anche tutti i vizi e i lati più orribili.
"Ahimè" Perchè l'uomo vanta delle forme di sensibilità superiori a quelle che si manifestano nei bruti? Questo fa di noi solo degli esseri più bisognosi. Se i nostri impulsi si limitassero alla fame, alla sete e al desiderio, potremmo essere quasi liberi"
La nostra intelligenza, la nostra capacità di analisi, le nostre conoscenze e finanche i nostri sentimenti sono la causa principale della nostra dannazione.
In realtà questa profonda analisi dell'Uomo è a mio parere quello che il libro restituisce meglio.
A tal proposito, avevo sempre immaginato Frankenstein come esempio, se ce n'è uno, del gotico. In realtà mi sono ritrovato un romanzo che di gotico ha pochissimo, se non qualche suggestione. Le ambientazioni, il fantastico, il magico, l'inquietante e il macabro sono senz'altro presenti ma in una forma molto più verosimile ed umana di quanto si possa pensare. C'è più gotico in un racconto breve di Poe che nel romanzo della Shelley.
Come sapete le mie rece sono scritte all'impronta, senza struttura, quindi torniamo ancora indietro.
Sapete qual è la parte del romanzo dove si riesce ad analizzare meglio l'Uomo?
Quella in cui a parlare è la Creatura.
Qui sta il paradosso e la magia del romanzo.
Dopo circa 3 anni dalla sua creazione (Frankenstein scappò inorridito alla vista di quello che aveva creato, e non rivide più il mostro fino a questo incontro molto tempo dopo) scienziato e creatura si incontrano in una montagna innevata.
E qui, come una matrioska c'è il flash back del flash back, nel senso che sarà il mostro a raccontare a Frankenstein tutta la sua vicenda, vicenda che potremmo anche chiamare semplicemente "vita" visto che quella creazione come una nascita deve essere considerata
.
(Quindi, ricapitolando -perchè la struttura in questo romanzo è fantastica- abbiamo la Cornice al Polo Nord, poi il racconto di Frankenstein della sua vita, all'interno di questo l'incontro col Mostro e la storia nella storia, poi torniamo di nuovo al racconto "principale" di Frankesntein, e, infine, alla cornice del Polo, con sorpresa).
E qui, nel racconto del Mostro, abbiamo forse le pagine più belle del romanzo, le più intense, e umanamente le più straordinarie.
Il Mostro è come un bambino che cerca di imparare le cose piano piano. Dopo alcune vicissitudini si troverà in un capanno da dove, attraverso una fessura, sbircia in un altro capanno, dove vive una famiglia poverissima.
La Creatura, osservandoli, scoprirà tutto, dalla Natura all'uso degli oggetti, dall'Arte alla Musica, dal linguaggio alla Letteratura. Si innamorerà dell'animo dei tre abitanti (un vecchio cieco e i suoi due figli), desidererà ardentemente conoscerli, attraverso grandi libri scoprirà gli spiriti elevati de "Le vite di Plutarco", l'afflizione e la malinconia de "I dolori del giovane Werther", e una condizione simile alla sua, ma per certi versi opposta, con l'Adamo de il "Paradiso Perduto" di Milton. Ma osservando e ascoltando quelle 3 persone scoprirà anche che nella vita esiste l'amore, che l'esser bimbi è un privilegio, che il contatto umano è meraviglioso. E queste conoscenze, e torniamo a quanto detto sopra, non faranno altro che trasformarsi in una maledizione perchè lui capirà di essere irrimediabilmente solo, abbandonato, rifuggito da tutti per il suo aspetto, destinato all'infelicità.
La Creatura quindi, solo attraverso la fessura in un asse di legno, scoprirà tutto quello si può scoprire sull'essere umano, persino tutta la millenaria Storia dello stesso.
E' ovvio come tutta questa parte sia un'iperbole, ma la resa è straordinaria.
Ma quello di più importante che il mostro, sulla sua pelle, scoprirà è una terribile verità, ossia il pregiudizio della bruttezza e della deformità. Il suo essere mostro, capisce, lo priverà per sempre della possibilità di avere un minimo contatto umano. Non serve a niente il suo animo, la sua bontà, la sua assoluta voglia e capacità di dare, perchè il suo aspetto mostruoso lo condannerà a vita (non è un caso che solo il vecchio cieco parli con lui senza scappare o attaccarlo).
E qui cambia tutto, la Creatura comincia ad odiare l'essere umano e in particolar modo il suo creatore, Frankenstein, reo di averlo messo in un mondo che non potrà mai amarlo.
C'è un solo modo quindi per essere forse felici, avere vicino un essere come lui. Per questo il Mostro chiederà a Frankenstein di creargli una "donna", un essere che possa capirlo e vivere con lui il resto dei suoi giorni. Se non lo farà porterà distruzione nella vita dello scienziato.
E distruzione sarà.
Del resto questo è un romanzo sull'infelicità umana, sul cinismo del Destino, sull'incapacità di raggiungere la serenità. In questo lo scienziato e mostro sono uguali, condannati per sempre, ormai, ad essere infelici. E' talmente forte il richiamo a questo destino comune che non è un'eresia parlare di Jekyll e Hyde a mio parere. A livello metaforico il mostro è sicuramente reificazione del senso di colpa dello scienziato. Quest'ultimo ha voluto sfidare le leggi eterne della vita e della morte e ne paga così il prezzo. E questo mostro che piano piano gli distrugge tutti (ma proprio tutti...) i propri affetti non è altro, forse, che lo scotto da pagare per non aver saputo viverli quegli affetti, subordinati a una debordante necessità di dedicarsi ai suoi studi.
Non a caso la morte per me più devastante, quella dell'amata cugina Elizabeth (meraviglioso esempio di donna, virtuosa e capace di amare di quell'amore settecentesco, quello assoluto, cortese, quasi privo di qualsiasi fisicità o intelletto) avviene appena Frankenstein esce un attimo per controllare il corridoio. Questa scena, se ce n'è una, è la dimostrazione di come tutte le morti siano state realmente colpa sua, direttamente o indirettamente.
A tal proposito, in questa "scena" c'è la prima e vera immagine horror del romanzo, veramente terribile, con quel mostro che ridacchia fuori dalla finestra ed indica il corpo di Elizabeth. Forse anche poche pagine prima, con la distruzione, facendola a pezzi, della creatura "femmina" avevamo avuto righe altrettanto mostruose.
Il finale, l'inseguimento di Frankenstein alla propria creatura, l'ultimo scopo di una vita di cui non è rimasto altro, regala altre pagine memorabili.
Ormai nemmeno più la Natura può offrire serenità allo scienziato.
Lo dico perchè nel romanzo la potenza dello spettacolo della natura non solo è presente quasi dapertutto, ma è quasi personaggio a sè. Anche nei momenti più terribili la vista di un ghiacciaio, di un'aurora, di un tramonto, di un lago, il sentirsi il vento o il gelo sulla pelle, le freschezza di un prato, tutto può essere così forte da calmare qualsiasi tristezza o inquietudine. Forse, nell'intero romanzo, è proprio il rapporto con la Natura quello che lo scienziato riesce a vivere a pieno, a differenza di quelli umani che, a causa del suo terribile segreto (che Frankenstein rivelerà solo alla fine a pochissimi personaggi) creano tra lui e tutte le persone amate un "muro" impossibile da buttar giù.
Sono quindi rimasti solo loro due.
Ed entrambi hanno bisogno dell'altro in qualche modo, a confermare quella sensazione di "sdoppiamento" di cui parlavo prima.
Ed ecco così che arriveremo al Polo, e all'inizio di tutto.
E alle ultime 10 pagine di una bellezza sconfortante.
Un mostro che piange sul cadavere di chi l'ha creato e di chi ha odiato per tutto il corso della sua vita.
E che piange ancora il suo destino, piange quello che avrebbe potuto essere ma non è mai stato.
Addio Frankenstein, addio vita miserabile.
"Dicendo questo, balzò dalla finestra della cabina sulla zattera di ghiaccio che si era accostata alla nave. Fu presto portato via dai flutti e si perse nel buio e nella lontananza"
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