Il quartiere ormai lo conosce. E’ la terza volta che cammina per le strade piene di negozi, attraversa le piazze affollate e gira intorno a giardini anche qui popolati da cani e i loro “padroni”. Tutto sommato è rassicurato da ciò che vede e percepisce.
Durante quel primo sopralluogo, aveva preso nota sul cellulare del numero di telefono di un vicino posto di polizia. Come se potesse servirgli a qualcosa. Se fosse stato rapinato, la prima cosa che gli avrebbero rubato sarebbe stato proprio il cellulare. O forse pensava di poter chiamare la polizia dal marciapiede in un lago di sangue dopo essere stato accoltellato? Follie. In realtà, lo aveva riassicurato constatare che in quel quartiere c’era un posto di polizia. Se le cose si fossero messe veramente male, la polizia lo avrebbe aiutato, i poliziotti lo avrebbero capito e, in qualche maniera, sarebbe tornato a casa sano e salvo.
Dopo aver vagato per circa mezz’ora, aveva trovato la forza di attraversare la strada oltre la quale c’era il posto in cui si sarebbe dovuto recare. Anche lì tutto sembrava normale ed in effetti lo era. Ma era sufficiente girare un angolo perché l’atmosfera cambiasse: quasi nessun pedone, automobili che entravano ed uscivano da strani pertugi, luci colorate in pieno giorno. Eppure, anche in quel tratto di strada che pure aveva percorso molto velocemente, senza indugiare e senza sentirsi a suo agio, non aveva percepito una vera e propria impressione di pericolo. Si trattava più che altro della sensazione che lì, in quel luogo preciso, accadeva qualcosa di assai particolare, di cui chiunque era a conoscenza, ma che però non poteva avvenire alla luce del sole. E forse proprio per questo, per un attimo, mentre velocemente e furtivamente lanciava lo sguardo verso il posto prestabilito per l’incontro senza peraltro riuscire ad identificarlo con esattezza, si era sentito come protetto dall’evidenza che chiunque fosse lì condivideva con lui una comune condizione e necessità: fare ciò per cui si era lì, rimanendo anonimi e fingendo la massima disinvoltura.
Camminando tra la folla anonima e indaffarata, non poteva fare a meno di indugiare nel piacere di pensare che tra quei visi potesse esserci anche lei. Sapeva che veniva qui ogni tanto, dato che era stata lei ad indicargli quel luogo, e quindi non era una possibilità così assurda che potesse essere una delle ragazze che incrociava attraversando la strada o in fila per comprare il biglietto dell’autobus: forse quella elegante con i tacchi o quella più sportiva con gli occhiali da sole. Tentava di paragonare quelle immagini con le foto che aveva visto e rivisto e la cosa gli provocava una certa eccitazione.
Poi c’era stata la seconda volta, che sarebbe dovuta essere quella buona. Ma tutto era andato in fumo. Per colpa sua. Di lei.
Lui l’aveva scelta dopo una lunga e meticolosa ricerca online. Aveva imparato velocemente a capire quali annunci fossero palesemente falsi, servendosi soprattutto di Google: per verificare se una foto corrispondesse effettivamente all’annunciante era sufficiente cercarla su Google Immagini; se non appariva altrove, allora era autentica, altrimenti Google la trovava in altri siti, da cui era stata evidentemente presa e utilizzata per ingannare e attrarre un potenziale cliente.
Quando aveva cominciato, l’idea che un giorno avrebbe davvero incontrato una di quelle ragazze ancora lontanissima nella sua testa. Ma poi, acquistando familiarità e dimestichezza, si era sempre più convinto che sarebbe accaduto.
Sulla base di queste analisi, di dettagli grafici e di ricerche su forum e blog, aveva selezionato i siti che raccoglievano annunci che apparivano più affidabili e in linea con ciò che cercava. Ma la prima, grande selezione aveva riguardato il “dove”. Dovendo scartare casa propria, aveva inizialmente pensato che la soluzione migliore fosse casa di lei. Perché questo significava evitare luoghi equivoci come i motel che – quello era il suo più grande timore – sarebbero potuti trasformarsi in trappole ideali per agguati e raggiri. Tuttavia, dopo diversi giorni di esplorazione online, gli era risultato chiaro che l’opzione-motel era di gran lunga la più comune e volersi concentrare solo su chi riceveva a domicilio avrebbe significato restringere enormemente la scelta. Inoltre il motel lasciava a lui la scelta del luogo e quindi del quartiere, mentre la casa di lei sarebbe potuta essere ovunque, anche in zone della città totalmente sconosciute e potenzialmente pericolose.
Altro aspetto importante era stata la maniera attraverso cui stabilire il primo contatto: il telefono era troppo diretto, mentre l’email offriva la possibilità di un’ulteriore passo perlustrativo dopo il quale avrebbe potuto anche ritirarsi. Ovviamente anche il lato estetico ed economico avevano avuto il loro peso nella scelta. Sulla base sia delle foto, sia delle breve descrizione che le accompagnava, si era orientato verso un prezzo medio-alto e su una ragazza che appariva non volgare e sufficientemente “normale”. Nessuna foto mostrava il viso, normalmente reso sfocato, ma in alcuni casi – come quello su cui poi era ricaduta la sua decisione – qualcosa si poteva immaginare. E a lui, lei era piaciuta.
Si chiamava Maria. O almeno così diceva l’annuncio. Le aveva scritto un’email e lei aveva risposto il giorno seguente, cordiale, ma anche risoluta. Il messaggio si concludeva con: “Se ti interessa, chiamami!”. E lui aveva chiamato. Si era preso una SIM ad hoc e le aveva telefonato. Emozionato, certo. Impacciato, anche. Ma la conversazione aveva subito preso una piega molto tranquilla, come tra due ragazzi o conoscenti che dovevano accordarsi sul come e quando vedersi e cercavano, insieme, la migliore maniera per farlo. Lei era una studentessa, così come le altre ragazze annunciate sul medesimo sito che si proponeva come semplice ‘bacheca’. Naturalmente non era assolutamente certo che le ragazze fossero effettivamente studentesse, ma a lui l’idea piaceva ed era disposto a farsi ingannare in quel modo che gli appariva tutto sommato innocuo.
E così, dopo la prima perlustrazione in loco, minuziose indagini sul motel e la conferma telefonica, quel martedì, con buon anticipo, aveva preso l’autobus ed era sceso alla fermata che già conosceva. L’accordo prevedeva che lui prendesse possesso della camera nel motel e la chiamasse: lei sarebbe arrivata nel giro di mezz’ora. Ma proprio mentre scendeva dall’autobus, gli era arrivato un suo SMS: “Scusa, sono bloccata in università, in fila per pagare le tasse, non so se riesco per le 11, ti faccio sapere quanto prima e comunque entro le 11.30. Un bacio, Maria”. Cazzo!
Anche se era assurdo, dato che avrebbe pagato per quell’incontro, la prima sensazione era stata di essere stato rifiutato. Oltretutto attraverso un SMS! Lei però le aveva scritto da un altro numero di cellulare, evidentemente “privato” e non quello di “lavoro”. E questo gli aveva causato un senso di intimità e complicità. Come se lei davvero fosse rimasta incastrata in un impegno a cui non poteva sottrarsi. Dopo tutto – razionalizzò – perché avrebbe dovuto sottrarsi all’appuntamento? Lei voleva incontrare gente, metteva le sue foto sul sito proprio per raggiungere quell’obiettivo ed era semplicemente illogico concludere che non avesse voluto incontrare proprio lui.
In ogni caso, dalle 11.30 lo separa quasi un’ora e la trascorse camminando nervosamente con il cellulare sempre in mano per timore di non sentirlo. Non sapeva bene cosa augurarsi: che le confermasse l’appuntamento oppure che le scrivesse che non se ne faceva nulla. In questo secondo caso – pensava – avrebbe dimenticato tutto e sarebbe tornato alla normale vita di prima. In fondo si trattava di una follia, una grandissima stupidaggine. Ma poi, il richiamo di quella trasgressiva esperienza e l’immagine del piacere fisico e mentale che avrebbe provato ritornavano prepotentemente a galla e desiderava che la cosa andasse in porto quella mattinata, considerando tutti gli sforzi e le precauzioni prese.
Bip, bip! Alle 11.18 arrivò il messaggino: “Scusami da morire, non riesco a venire. Dimmi quando possiamo vederci e ti prometto che non ti bidonerò. Un bacio grande, Maria”. Infilò velocemente il cellulare nella tasca e si diresse alla fermata dell’autobus. Lo invase uno strano senso di rabbia mista a sollievo; stronza! Ma che cavolo!! Mi devo anche far bidonare da una escort!! Basta, storia finita, chiuso, azzeriamo tutto!
E così, dopo altri scambi di SMS sempre più affettuosi, era arrivato il martedì mattina successivo. Stesso luogo, stessa ora. Lui ha ripetuto la routine della settimana precedente ed ora è qui, a zonzo per le strade ormai familiari, facendo trascorrere il tempo in attesa dell’ora prestabilita. E’ già passato di fronte al motel: gli è chiaro dove deve entrare e quale strada fare per arrivarci rapidamente e nella maniera più sicura possibile.
Poi decide che il momento è arrivato, sono le 10.44: si avvia risoluto verso il motel. Ha “impostato” sul volto un’espressione ferma, corrucciata, come di una persona con mille impegni, che non è lì per perdere tempo. Su internet ha già scelto il tipo di camera da prendere: prezzo medio e per mezza giornata. Si chiama suite superior o qualcosa del genere. Quando entra nel motel è più sicuro che mai: respiro e battito cardiaco regolari, sguardo fisso verso l’obiettivo. Alla reception c’è un signore di mezzà età, ben vestito, normalissimo. “Vorrei una camera, sì, quella…ho visto su internet…”. I soldi li ha già pronti e contati. Li allunga al signore che gli consegna una scheda magnetica e una ricevuta: “Al terzo piano, l’ascensore è lì a destra”. Ovviamente zero nomi e zero documenti.
Il motel è elegante, nuovo, colorato. E’ evidente che non si tratti di un normale hotel, ma non ha alcunché di squallido o volgare. Quando esce dall’ascensore e si avvia verso la sua camera, nota una strana soluzione architettonica: le camere si affacciano tutte su un ballatoio, attorno ad uno spazio interno al piano terra, come nelle case a ringhiera ed è quindi perfettamente visibile a tutti chi entri ed esca dalle camere stesse. Dovrebbe essere il contrario. O forse no? Forse proprio questa “uguaglianza architettonica a panottico”, ossia una disposizione assolutamente identica per tutte le camere dove tutti possono vedere tutti, mette i clienti tutti sullo stesso piano: non è necessario nascondersi se tutti si mettono in gioco allo stesso modo. Bisogna rendersi anonimi “fuori”, non “dentro” dove tutti stanno facendo la medesima cosa e commettendo il medesimo peccato e quindi nessuno può condannare l’altro, ma tutti sono assolti. Non a caso, all’entrata ha notato che l’entrata principale è per le automobili (o i taxi) che possono entrare letteralmente dentro l’hotel senza dovere parcheggiare fuori. Chi entra a piedi, come ha fatto lui, deve essere una rarità.
Mentre cammina sul ballatoio, nota che la maggioranza delle camere è aperta e riesce ad intravedere il letto, gli specchi, l’arredamento; chissà perché tengono aperte le camere non occupate? Boh, questo non se lo spiega. La sua è in fondo. Entra e chiude velocemente la porta, infilando la card magnetica nell’apposito apparecchio. In quel momento si accende la luce, insieme alla televisione gigante sulla parete di fronte al letto: sullo schermo appare una ragazza in ginocchio che sta facendo una fellatio ad un uomo: è un film porno!
Decide di lasciare la TV così com’è, pensando che gli servirà per “entrare in atmosfera”. La camera è pulitissima ed elegante. Certo, i colori sono molto vistosi e c’è un palo che va dal pavimento al soffitto, evidentemente per spettacoli improvvisati di lap dance. Inoltre sulla parete a fianco al letto c’è un listino-prezzi che offre Viagra, Cialis, preservativi in confezioni singole o multiple.
Un pensierino al Viagra ce lo fa…perché no? Ma proprio in quell’istante, all’improvviso bussano alla porta. Il cuore gli salta in gola. Chi cavolo è adesso????!! Panico. Va alla porta ed è una cameriera che gentilmente gli domanda se ha bisogno di qualcosa. Sollevato, risponde che…sì, una bottiglietta d’acqua, grazie.
L’apparizione della cameriera gli ha fatto comprendere quanto sia nervoso, nonostante l’entrata nel motel lo abbia decisamente tranquillizzato dato che l’atmosfera è molto migliore di ogni aspettativa. Mentre si siede sul letto sospirando e attendendo l’arrivo della bottiglietta, si rende conto che quando la cameriera si è affacciata alla porta, la TV continuava a rimandare immagini di ragazze impegnate in pratiche orali. La cosa gli pare un po’ deprimente e denigrante; si alza e spegne, accendendo invece lo stereo.
La cameriera ribussa e gli porge la bottiglietta che, ovviamente, costa un patrimonio. Lui richiude la porta e beve una lunga sorsata. La bocca è secca, è nervoso. Ora deve chiamarla: è giunto il momento, non può indugiare oltre. Respira profondamente e passeggia nei pochi metri quadrati. Prende il cellulare e chiama.
“Pronto, ciao!!”
“Ciao…ehm…io sono qui allora….”.
“Ok, qual è il numero della stanza?”.
“Eh…”. Mentre sta per dirle il numero dall’altra parte la sente parlare con qualcun altro, come se gli stesse dando indicazioni….è un taxista! E’ in un taxi e si sta facendo dire in quale camera deve andare di fronte al taxista…
“Sì, che numero hai detto?”.
“Ehmm…311!”.
“Ok, sto arrivando, che bello! Finalmente ci conosceremo!!! Ciaoooooo”.
Ora non rimane che aspettare. Quanto? Cinque minuti? Dieci, mezz’ora? E’ nervoso, molto nervoso. Adesso incomincia ad essere assalito dalla paranoia di non riuscire ad avere un’erezione. Magari perché è troppo teso oppure perché lei potrebbe non piacergli. In fondo il viso non l’ha mai visto: e se fosse una bruttona da paura? Cerca di pensare ad altro, di respirare con regolarità, così come gli hanno insegnato in quel corso che ha fatto qualche mese fa.
Immagina a cosa le dirà, quali saranno le prime parole. Tutti i pensieri si aggrovigliano nella sua testa alla velocità della luce. E pensa che sarebbe meglio che tutto finisse lì: in fondo ha già fatto tanto ed è già soddisfatto di se stesso…Quanto cavolo è passato dalla telefonata? Apre il registro delle chiamate sul cellulare: 11 minuti, solo 11 minuti…forse sta arrivando, forse sta scendendo dal taxi. Il cuore gli batte fortissimo. Altro sorso d’acqua. Si concentra sulla musica, pensa a cose di lavoro, a cosa mangerà a cena, al tranquillo dopo cena sul divano facendo le solite, rassicuranti stupidaggini.
Ma, l’eccitazione di avere tra le sue mani un corpo di ragazza tra pochi minuti è anch’essa presente; nelle foto si vede che ha seni belli grossi, bei capelli, la stringerà, la strapazzerà, la leccherà tutta…Il respiro si fa affannoso…ora vorrebbe che il tempo passasse in frettissima, per averla già qui davanti, per farle tutto quello che gli passi per la testa. Lei lo farà, lo farà certo, sta venendo lì proprio per quello.
Squilla il telefono del motel sul comodino.
“Sì?”.
“Buon giorno, sta aspettando una signorina?”.
“Sì, grazie, la faccia pure passare”.
E’ tranquillo, ora ci siamo davvero, mancano pochi secondi, quelli necessari per arrivare dalla reception alla sua camera. Un minuto forse. Sistema la giacca, riconta i soldi, chiude bene il portafogli dentro una tasca con la cerniera.
Bussano. Apre. Eccola, è lei. “Buon giorno signorina!” dice lui con tono spiritoso. E’ alta, vestita con una giacca jeans, elegante, ha i capelli lunghi e castani e una borsetta sotto braccio. Potrebbe essere sul serio una studentessa. Il viso non gli piace tanto, è così, così. Sorride, entra sicura e afferra il palo della lap dance, mettendosi a girarci attorno ridendo come una bambina. “Ciaoooo!!!”….
Lui si sente tranquillo, a suo agio come in situazioni da “primo incontro intimo” con altre ragazze che conosceva, anche quelle che sarebbero poi diventate le sue fidanzate.
“Beh, carino il motel, avevi ragione: è un posto tranquillo e non squallido”.
“Sì, vero…l’hanno aperto da poco e io mi si sono subito trovata bene”.
Sono in piedi uno di fronte all’altra, vicini, ma non vicinissimi.
“Grazie per non avermi bidonato questa volta!”.
“Scusami, scusami da morire per l’altro giorno, ma ti giuro che dovevo fare quella cosa, era l’ultimo giorno per iscriversi…scusa davvero, prometto che non succederà più”.
Lui comincia ad eccitarsi.
“Ma quindi davvero sei una studentessa?”.
“Certo, anche adesso dovrei essere a lezione!”.
E fa una smorfia da biricchina.
Lui si avvicina e le sfila il giacchetto jeans.
“Ma ti chiami davvero Maria?”
Si toglie un chewing gum dalla bocca e lo mette chissà dove.
“Mi chiamo Stefania…e tu?”
“Io Marcello”.
Ora le prende il viso tra le mani, la bacia e poi la stringe.
Lei sospira, lui scende verso il collo e con le mani comincia a tirarle su la maglietta per scoprirle i grossi seni.
“Dove mi hai trovata?”
“Su uno dei due siti dove hai messo le foto”.
Lei si tira indietro all’improvviso.
“Come due siti?? Io ho messo le foto solo su uno!!”
Lui fa una smorfia, sorridendo: “Beh, tesoro le tue foto sono su due siti…e in tutti e due c’è il tuo nome e il tuo numero di telefono”.
“Ma porca miseria, che stronzo!! Quelle foto non possono andare in giro così…ma ti rendi conto se mia mamma vede quelle foto e scopre che faccio questo??”.
“Eh….”. La riprende tra le braccia e la invita a sfilarsi la maglietta.
Lei obbedisce.
Lui si è tolto camicia e maglietta e spinge il suo corpo su quello di lei.
“Boh, adesso non lo so…comunque basta che prendi una delle tue foto e la carichi in Google Immagini e….”
“Google che??”
Comincia a slacciarle i bottoni dei jeans.
“Google Immagini: per cercare immagini in internet, io l’ho usato per vedere se le tue foto erano vere, ossia se non le avevi prese da qualche altra parte”.
“Le mie foto sono vere. Questa sono io!!” E indietreggia un po’, spostando il petto in avanti e guardandosi i seni, come a dire: i seni nella foto sono proprio i miei, guardali!
“Sì, sì, certo…” E la riprende, baciandole l’ombelico e strisciandola dappertutto.
“Ma quindi sei sul serio una studentessa?”
Lei gli accarezza la pancia e comincia a scendere verso il basso, sospira, sospirano tutti e due.
Lui ha caldo, stringe i denti e le lecca le spalle.
“Sì, ti ho detto di sì. Sai quanto costano le tasse nell’università in cui vado? Se non facessi questo, non potrei mai studiare”.
“Certo, certo…”
Le sfila i pantaloni ed appaiono le mutandine, bellissime, rosa, e una pelle liscia, abbronzata, curata.
“E tu invece cosa fai?”
“Io…io lavoro in banca”.
Si toglie i pantaloni e la spinge sul letto: i capelli sparsi, un sorriso, le mani che sfilano le mutandine.
Anche lui si adagia sul letto, le stringe i seni, lei lo accarezza.
“E poi? Che altro fai?”.
La mano di lui le accarezza la coscia, salendo con piacere e lentezza, fino a sentire con le dita il suo sesso bagnato.
“Eh…beh, poi scrivo su una rivista, una rivista online…si chiama L’Undici!”.