L’anomalia di questo 26esimo albo è che il Tex di Seijas non è inedito per niente. Storie di Aquila della Notte firmate dal maestro argentino ne sono già apparse nella serie regolare a partire dal 2007, anche se, stando a quanto dichiarato dallo stesso Seijas, la prima a essere terminata in ordine cronologico fu proprio Le iene di Lamont.
Sul perché questo albo sia rimasto chiuso nel cassetto di Sergio Bonelli per tanti anni, circolavano diverse ipotesi, alcune al limite della leggenda metropolitana. Si vociferava, in particolare, che il talento di Seijas nel fornire ai personaggi femminili della storia un forte sex appeal avesse spinto l’editore milanese a congelarne la pubblicazione. Insomma, si era arrivati a vagheggiare che nella cassaforte di Bonelli fosse imprigionato un “eversivo” eroTex con donnine discinte e, magari, Kit Carson con il cinturone carico di pilloline blu.
Ovviamente, di questo improbabile “porno-ranger” le tavole arrivate in edicola non portano traccia. Il soggetto di Nizzi, in effetti, con una giovane ereditiera rimasta orfana alle prese con la perfida e procace matrigna che gli ha soffiato il ranch, sembra fabbricato proprio per mettere a suo agio Seijas.
L’autore argentino ci propone con Katie e Vera la classica diade Snowwhite versus Dark Lady in salsa western, con quella morbidezza grafica che da sempre contraddistingue le pin-up (Helena su tutte) di Seijas. Ma qui finisce l’eversione ed inizia la consapevolezza di un artigiano d’esperienza che sa bene come dosare i registri. Per quanto siano morbide le forme delle pupe, gli scenari da bulli del selvaggio Ovest sono restituiti all’occhio del lettore con la necessaria ruvidezza. E se anche Tex e i suoi pards non sono resi con la disinvoltura di un Ticci o di Letteri,
Se qualcosa non funziona in questa storia, non è certo nella dimensione grafica. Tanto che, tra il serio e il faceto, viene da chiedersi se il senso del pudore di Bonelli più che dai presunti azzardi di Seijas non sia stato messo a dura prova dalla bolsa sceneggiatura di Claudio Nizzi. Pudore per un plot che annega nell’immobilismo, distante anni luce da quella solidità narrativa che da sempre Bonelli ha ricercato come standard di qualità nelle sue produzioni.
Sarebbe un esercizio di malcelata perfidia elencare le fragilità nel racconto di Nizzi, depositario dell’ortodossia texiana per oltre un ventennio. Oggi che la serie ha cambiato rotta con altri scrittori, sparare “criticamente” sul vecchio pianista del saloon narrativo, sembra diventata una facile consuetudine. In particolare, a Nizzi si rimprovera la gestione conservativa, quasi museale, del personaggio, con Tex e i pards bloccati sempre nelle stesse tautologiche discussioni su bistecche alte due dita e patatine fritte, gli innumerevoli siparietti tra lui e Carson “stile Casa Vianello del West”, i ritmi costantemente compassati delle storie.
Intendiamoci: ogni serie vive in un equilibrio sottile tra già detto e riscrittura. Nel già detto c’è tutto ciò che il lettore ama ritrovare del personaggio (e del suo mondo narrativo) in ogni episodio. Per esempio nel caso di Tex: la squadra dei pards, i loro scherzi, la riserva Navajo, le scazzottate, gli interrogatori a suon di sberle, il linguaggio colorito, etc. Nella riscrittura c’è lo scarto di originalità che ogni nuova storia offre (o dovrebbe offrire) rispetto alla precedente.
Nizzi ha sempre privilegiato, con rigore quasi filologico nei confronti del creatore del personaggio Gianluigi Bonelli, l’esibizione del già detto rispetto alla novità. A questo sforzo conservativo, ha saldato la sua interpretazione dell’eroe: quella di un “Tenente Colombo del West”, per usare la definizione del sociologo Stefano Cristante, capace di alternare l’uso della violenza a quello della ragione.
Inevitabilmente le storie finiscono per assumere un andamento compassato. Perché devono mostrare al lettore, sequenza per sequenza, come la caccia di Tex al cattivo di turno sia – su tutto – una partita a scacchi mentale tra l’eroe e l’avversario, dove il primo grazie alle sue qualità (fisiche e intellettuali) non può che prevalere. E torniamo così alla citazione di Nizzi posta in apertura di quest’articolo: Tex non può essere messo nell’angolo nella visione dell’autore, perché è lui il motore della narrazione.
A volte, questo modo di narrare ci ha regalato ottimi racconti,
Insomma, ammesso che Nizzi abbia ragione nel sostenere che è sbagliato “chiudere Tex in un angolo”, o che si può farlo solo saltuariamente nelle storie, la domanda che sorge leggendo le Iene (tristi) di Lamont, è se non sia stato altrettanto sbagliato da un certo punto in poi, consapevolmente o meno, aver condannato Willer e compagni a una ossessiva ripetizione di trame pre-fabbricate.
Per cui, davvero, all’ennesimo, banale, cicaleggio di battute fra Tex e Carson mentre galoppano da Gallup a vattelapesca, incominci a fare il tifo per i cattivi appostati dietro la roccia con il fucile spianato.
Abbiamo parlato di
Tex Albo Speciale # 26 – Le iene di Lamont
Claudio Nizzi, Ernesto Garcia Seijas
Sergio Bonelli Editore, 2011
240 pagine, brossurato, bianco e nero – 5,80€
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