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Mi guardo intorno. In questa stanza, a parte il tizio pelato che ha appena parlato, ci sono solo io. Il pelato, mano sulla maniglia della porta e abito doppio petto che neanche a un matrimonio reale, mi guarda con un misto di timore e fiducia, con quell'occhio un po' luccicoso che hanno i cani quando intuiscono che forse è il momento della passeggiata.Non si muove di lì. Io nemmeno. 'Giorno, rispondo. Ci provo, magari si accontenta, in mancanza del Presidente.Che il Presidente sono io, lo capisco subito dopo. Quando vedo il sorriso pieno di gratitudine di Pelato e quando guardo meglio la stanza in cui sono. È il Quirinale, non ci sono dubbi. Quindi non sono neanche un Presidente a caso.Mi guardo in uno specchio. Sono io, stessa faccia, stesse Converse, stessa maglia con buco di tarma. Non posso fare il Presidente della Repubblica così. Ma Pelato non sembra avere nessun problema a riguardo. Mi gira intorno, mi fa firmare fogli, mi chiede cosa deve dire e cosa deve fare. E se non ha problemi lui, perché dovrei averne io. Solo che io non ho la più vaga idea di come si faccia il capo dello Stato.Poi mi chiedo se lui veda me o un signore con rispettabili rughe e fazzoletto nel taschino.Non lo saprò mai, mi tocca improvvisare, e provare almeno a contenere il danno. Per esempio, potrei provare ad adeguare il linguaggio. Un Presidente che comincia una seduta in Parlamento accendendosi una paglia e dicendo "che sbattimento", potrebbe far alzare più di un sopracciglio. Per non parlare delle telefonate. Sicuro come la morte che mi chiama Mario Monti. E lì non me la cavo chiedendogli come va lo spread. Che sbattimento, ragazzi. Sento l'ansia che si arrampica su per la spina dorsale e mi appiccica la maglietta tarlata addosso. O forse la camicia di sartoria. Dipende dai punti di vista.Ma poi guardo Pelato, la sua faccia carica di aspettative e velata apprensione. C'è la conferenza stampa, mi dice.E io non posso deludere quest'uomo. Va bene, andiamo. Ho giusto un paio di cose da dire a questo Paese.
Dreamed by: Monsters
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