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Plata quemada (2000) diretto da Marcelo Piñeyro è un film con degli spunti interessanti che lo rendono un poliziesco (un noir, un crime-movie e chi più ne ha ne metta) decisamente sui generis.
Questo perché il tema del denaro che dà sostanza al titolo e delle azioni anche brutali per prenderlo, proteggerlo e nasconderlo, passano in secondo piano, o perlomeno vengono appaiate da un inaspettato sentimentalismo che assume i contorni di un legame prima di tutto argomentativo nella tesi del regista, e in conseguenza anche diegetico con la relazione omosessuale.
Il fatto che in un film per “duri” dove le figure femminile sono macchiette senza spessore meramente utilizzate nel vero e proprio senso della parola (penso alla donna del Cuervo o alla prostituta di Nene) e dove la corruzione, la droga, l’alcol, la violenza sono elementi indispensabili per definire l’ambiente che racconta, ebbene pare strano che in un quadro del genere si incastri dignitosamente una love story fra due uomini, che sono sì due delinquenti, due assassini, due tossici, due ladri ma anche e soprattutto due amanti.
La peculiarità di Burnt Money è tutta qui, in una scelta controcorrente che nella patria di questo genere, gli Stati Uniti, e in generale nei circuiti più commerciali a mia memoria (comunque fallibilissima) non è mai stata effettuata.
Detto che la pellicola riserva delle sorprese per una duplice natura deviante dall’ordinario, val la pena spendere due parole sull’intelaiatura all’ordine della categoria, ovvero l’aspetto più evidente, quello del crimine commesso e di tutte le dinamiche collegate. A mio parere anch’esso regge, forse con qualche traballamento ma regge; il plot pur senza riservare grandi sorprese sembra convincere, e il presentimento che le cose non andranno a buon fine è rafforzato da due piccoli espedienti di Piñeyro, il quale definendo prima il trio attraverso i giornali “Caos morte e distruzione”, tre fantasmi che distruggeranno loro stessi e non chi li sta attorno, e tagliuzzando dopo una linea della mano di Ángel, quella del futuro, mostra chiaramente un processo di auto disfacimento appena appena mitigato dall’amore fra Nene e Ángel, o forse è proprio il deteriorarsi del loro flirt ad aumentare il carico di drammaticità che ha il suo culmine nel finale laddove l’asserragliamento all’interno della casa circondata da un’orda di poliziotti è il punto più basso, fra parecchi alti, dell’opera perché poco originale e anche poco credibile vista la disparità di forza messa in scena (un esercito contro tre uomini).
Gli attori dimostrano di saper cambiare registro quando ce n’è bisogno, fra i tre spicca Nene (Leonardo Sbaraglia) che senza togliere nulla ai due colleghi è quello che mette in mostra una più ampia varietà espressiva. Il Cuervo (Pablo Echarri) fa il matto per tutta la durata e lo fa bene. Ángel, il personaggio maggiormente complesso, è interpretato dallo spagnolo Eduardo Noriega che finalmente vedo recitare e non vagare sperduto come in Novo (2002).
Oh, il cinema argentino è intrigante assai.
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