Varg Vikernes sforna dischi e idee con una prolificità e rapidità impressionanti: Umskiptar (metamorfosi) è l'ennesimo capitolo marchiato Burzum, il nono se si esclude la discutibile riedizione di vecchi classici in nuova veste, From The Depths of Darkness, dello scorso anno. Da quando Vikernes ha lasciato le carceri norvegesi (che poi sono più simili ai nostri alberghi che non alle nostre galere, ma questa è un'altra storia) dove è stato ospitato a causa di un omicidio (il suo collega del black circle norvegese Euronymous dei Mayhem) e l'incendio di alcune chiese antiche, la creatività del "Conte" ha rotto le acque e sono venuti fuori due ottimi album, Fallen del 2011 e Bolus del 2010, sicuramente i lavori più accessibili della discografia di Burzum, oltre a qualche libro. Il nuovo Umskiptar, stando alle intenzioni del suo autore, dovrebbe rappresentare un ritorno al passato, alle origini del male, dopo le sperimentazioni dark-ambient del periodo in gattabuia e le aperture "melodiche" dei due ultimi lavori. In ogni caso in questo disco di black metal c'è poco, se non qualche ombra che si staglia nelle atmosfere lugubri e opprimenti che lo avvolgono. I suoni sono scarni, minimali; le chitarre non sono troppo aggressive e i ritmi sono lenti (molto lenti). Il risultato finale è un gelido e opprimente folk-pagan metal condito con qualche ritmo marziale, accenni depressive metal e qualche sprazzo dark-ambient. Con il suo passo pesante, ipnotico e inquietante, il disco sa di antico, di muffe, polvere e muschio. Le liriche, spesso recitate, drammatiche e solenni, sono interamente tratte da un antico poema norvegese (Völuspá). L'inizio dell'opera è molto promettente: Jòln e Alfadanz (quest'ultima ricamata dalle note di un piano nel finale) sono due ottimi brani dal ritmo lento e sofferto, cosparsi di umori non troppo distanti da certe sperimentazioni avantgarde metal e post-punk. Æra è sorretta da un basso cupo e attraversata in lungo e in largo da schitarrate con un certo retrogusto quasi death rock; il brano si snoda promettendo un'impennata di velocità e violenza che, invece non arriva (quasi un coitus interruptus). Valgaldr si apre con un ottimo riff di chitarra, ma anche qui le promesse non vengono mantenute sino in fondo. L'ottava traccia, Galgvidr, riprende il tema portante del disco e odora di medioevo, riti pagani, fiaccole accese e cappucci calati sugli occhi. La chiusura è affidata alle spettrali ambientazioni dark-ambient di Níðhöggr. Non è facile arrivare indenni alla fine dell'opera: è un viaggio lungo e faticoso, quasi doloroso, ma sicuramente vale la pena di provarci. Non si sa mai, si può anche restare folgorati dalle atmosfere create da quel folle di Vikernes.
Tracklist:
01.Blóðstokkinn
02.Jóln
03.Alfadanz
04.Hit helga Tré
05.Æra
06.Heiðr
07.Valgaldr
08.Galgviðr
09.Surtr Sunnan
10.Gullaldr
11.Níðhöggr
Byelobog Productions - 2012
voto: 7
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