Questo preambolo per dimostrare, una volta di più, quale oceano di miseria sia il tempo che stiamo vivendo (definirlo decadente sarebbe un eufemismo!), nel quale il termine decadenza è improvvisamente balzato agli onori della cronaca, ma non per un rinnovato sussulto di contestazione dell’establishment socio-politico e culturale, bensì per l’allergia di un cittadino alle regole democratiche, da egli stesso e dal suo codazzo di cortigiani vidimate attraverso il voto parlamentare. E non ce la si può prendere con i giuristi, in quanto il termine viene utilizzato in maniera semanticamente ineccepibile: si decade da una carica, quindi si è in decadenza. Il punto è che, in tutte le democrazie più progredite, non si potrebbe mai parlare di decadenza, se non per lo spazio limitato di qualche ora, per il semplice fatto che il politico che venga condannato per comportamenti indegni della carica che ricopre o rassegna volontariamente le dimissioni o viene costretto a farlo dai suoi stessi compagni di partito, dall’opinione pubblica e dagli organi politici e giuridici di vigilanza. In Italia, la decadenza del cittadino pregiudicato Berlusconi (che tra l’altro dovrebbe decadere anche da Cavaliere, ma anche in questo caso i tempi vanno dilatandosi) è titolo d’apertura da oltre un mese e da normale procedura democratica, è diventata merce di scambio per la famigerata stabilità politica.
Berlusconi , evidentemente, pensa che la sua decadenza possa protrarsi nel tempo come quella della modernità o quella dell’impero romano, incurante di trascinare con sé un paese già in cronica decadenza. C’è da sperare che il Partito Democratico tenga fede alle dichiarazioni fatte e faccia in modo che, costi quel che costi, questa questione di lana caprina, che i satrapi pidiellini cercano in tutti i modi di far passare come un’emergenza democratica, si risolva al più presto, in modo che di Berlusconi non si dica più decadente, ma decaduto.