Da quando sono state scoperte per la prima volta qualche decina di anni fa, grazie soprattutto all’entrata in funzione di strumenti sempre più sensibili nelle bande dell’infrarosso, le nane brune sono state gli oggetti celesti che hanno gettato un certo sconquasso nell’ordinata classificazione di stelle e pianeti. Le loro masse e temperature superficiali infatti non permettevano agli astronomi di incasellarle secondo gli schemi degli oggetti stellari: troppo bassa la loro temperatura, che poteva tranquillamente scendere anche ad “appena” mille kelvin, e troppo piccola la loro massa che, sotto il limite degli otto centesimi di quella del Sole, ne certificava la loro impossibilità a produrre energia dalle reazioni di fusione nucleare nel loro nucleo. Stelle mancate dunque, ma che pur dovevano avere una loro dignità e riconoscimento nella popolazione stellare. Ecco allora che venne allargata verso il basso la classificazione spettrale degli astri, aggiungendo oltre alle canoniche classi O,B,A,F,G,K,M anche la L e la T, che competevano ad oggetti con temperature efficaci che scendevano fino intorno ai 1000 kelvin. Quando tutto sembrava aver ritrovato il suo giusto ordine però, ecco il nuovo, recentissimo colpo di scena. Questa volta arrivato dall’osservatorio orbitante WISE della NASA un paio d’anni fa. L’analisi delle immagini a grande campo del cielo visto nell’infrarosso dai suoi sensibilissimi strumenti aveva infatti portato all’identificazione di potenziali oggetti di masse comprese tra le 5 e le 20 volte quelle di Giove e con temperature che forse potevano scendere fino a valori di 300 kelvin, ovvero 25-30 gradi celsius. Come considerare queste rarità nelle rarità? Nane brune “mini” e fredde? O pianeti supergiganti temperati? Un dilemma non da poco, visto che gli oggetti candidati, per i quali è stata coniata una nuova classe spettrale, la Y, erano comparsi spingendo al limite estremo strumenti e tecniche per l’analisi dei dati.
A gettare nuova luce sull’intricato caso, arrivano oggi i risultati di un lavoro di Trent Dupy e Adam Kraus, rispettivamente dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e dell’Università del Texas negli Stati Uniti, pubblicati online su Science Express. I ricercatori hanno sfruttato il metodo della parallasse stellare – il più preciso in assoluto tra quelli disponibili – per calcolare le distanze di alcune decine di questi candidati basandosi sul confronto di immagini raccolte nel medio infrarosso tra il 2011 e il 2012 dalla Infrared Array Camera (IRAC) a bordo del telescopio spaziale Spitzer della NASA. Il loro obiettivo era quello di risalire con la maggior precisione possibile alla determinazione della temperatura superficiale di queste nane brune, una risultato ottenibile solo a patto di avere, appunto, una accurata misura della loro distanza. I risultati di questa indagine confermano che le più fredde e piccole tra le nane brune hanno temperature che scendono intorno ai 400-450 kelvin e hanno masse comprese tra 5 e 20 volte quelle di Giove. Tra tutte, la palma della nana bruna extra small spetta a WD 0806-661B, che in superficie non supera i 380 kelvin e possiede una stazza di meno di dieci masse gioviane. In pratica, l’anello mancante tra le stelle più piccole e i pianeti di grande massa.
“Il lavoro di Dupuy e Kraus dimostra che il limite inferiore di masse stellari si sovrappone al limite superiore di masse planetarie osservate e fornisce misure affidabili per una classe di oggetti decisamente molto difficili da osservare e altrettanto difficili da modellare” commenta Fabrizio Massi, dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’INAF. “Gli autori, indagando oggetti del tipo spettrale Y, trovano inoltre che a questi valori estremamente bassi delle masse la distribuzione in lunghezza d’onda dell’energia emessa cessa di avere una semplice relazione con la temperatura efficace, il che potrebbe indicare che altri parametri fisici diventano importanti.
“Le nane brune pongono anche dei problemi relativamente ai meccanismi di formazione all’interno delle galassie. Inoltre, si spingono – sempre più fredde – fino al limite delle masse planetarie. Il loro studio è quindi fondamentale per chiarire i meccanismi di formazione stellare e planetaria. Come notano giustamente gli autori nel loro articolo, un pianeta molto massiccio in orbita attorno ad una stella potrebbe essere piuttosto una nana bruna di massa molto piccola. Il confine tra stella e pianeta è legata ai meccanismi di formazione e alla sua struttura interna. INAF, anche attraverso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, ha fornito notevoli contributi scientifici in questo settore. Mi riferisco in particolare alla scoperta e allo studio di dischi e getti collimati in nane brune giovani in cui hanno avuto un ruolo importante Antonella Natta e Leonardo Testi. E già nel 2004 organizzammo un congresso internazionale specificamente dedicato all’argomento, proprio qui in Italia”.
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani