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C'è paesaggio e paesaggio

Creato il 10 gennaio 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
La pittura di paesaggio ha sempre accompagnato lo sviluppo dell'arte, subendo però importanti trasformazioni nelle tecniche, nei tratti e nelle prospettive.
Come possiamo vedere da mosaici e affreschi, fra i quali si distinguono le pitture parietali della casa romana di Livia, consorte di Ottaviano, la rappresentazione del paesaggio non è un dato estraneo all'arte antica. Come per i moderni, anche nel mondo classico il paesaggio può essere un accessorio, un particolare di sfondo (emblematico è il caso delle raffigurazioni delle avventure di Ulisse) oppure un elemento totalizzante che troneggia nella raffigurazione.

C'è paesaggio e paesaggio

Affresco proveniente dalla casa di Livia a Prima Porta (I sec.)


Nel Medioevo si smette di rappresentare autonomamente il paesaggio a causa del generale rifiuto del tema della natura tanto caro agli antichi, ma, cessati i cosiddetti ‘secoli bui’, gli intellettuali e gli artisti tornano a guardare in maniera quasi scientifica alla natura, a rappresentarla e a renderla protagonista. Sulla scia di questo rinnovato interesse per l’ambiente in cui si muove l’uomo, l’arte del Seicento inizia a rendere autonoma la rappresentazione del paesaggio, che non è più mero sfondo di una narrazione storica, religiosa o mitologica. In modo graduale ma deciso le tele accolgono scorci sempre più ampi e arditi di paesaggio finché, nel secolo successivo, gli artisti, avvalendosi di lenti e cannocchiali, possono addirittura dipingere porzioni di panorama ben più ampie e definite di quanto il solo occhio umano potrebbe cogliere con notevoli slanci virtuosistici.

C'è paesaggio e paesaggio

Canaletto, Veduta di Venezia (1740 ca.)


L’arte romantica apporta significative novità al modo di guardare al paesaggio: non più ampie vedute con rigore d’osservazione scientifica, non più dettagliate rese delle architetture cittadine, ma paesaggi spiritualizzati, armonizzati con il sentire dell’artista. È l’epoca del sublime, dell’emozione travolgente che entra nell’arte e ha la meglio anche sulla categoria del bello; è questo nuovo senso estetico a produrre le tele piene di distensione e vaghezza di Friedrich e i prorompenti assalti della natura nei quadri di Turner.

C'è paesaggio e paesaggio

J.M.W. Turner, Eruzione del Vesuvio (1817)


Con il Realismo, intorno alla metà dell’Ottocento, si apre una fase di riscoperta della natura in sé, il genere pittorico paesaggistico si svincola dal pregiudizio che lo vedeva subordinato, in una scala di qualità, alla pittura religiosa e storica e alla ritrattistica e si prepara il terreno per la rivoluzione impressionista, che si innesca negli anni ’60. Monet, Pissarro, Renoir sono fra gli artisti che si dedicano alla pittura en plain air, disponendosi di fronte al paesaggio e cogliendone i tratti principali e le variazioni cromatiche con rapidi tocchi di pennello: il paesaggio non è più un elemento da riprodurre in maniera tecnica e precisa (a questo pensa ormai la fotografia), ma una fonte di riflessi di luce in continuo mutamento e in progressiva dissoluzione, soprattutto nelle ultime tele di Monet, dedicate agli scorci del suo giardino a Giverny.

C'è paesaggio e paesaggio

C. Monet, Il sentiero nel giardino di Giverny (1901)


Nel Novecento lo sguardo del pittore si sofferma sulla complessità del reale, sul disagio dell’uomo e, di conseguenza sull’influsso della coscienza nella trasformazione della visione. Viene meno il realismo, a vantaggio di raffigurazioni fortemente modellate dall’individualità. In questo contesto nascono i paesaggi della prima fase della pittura di Kandinsky, ma la graduale prevalenza dell’elemento interiore porta alle estreme conseguenze la dissoluzione della visione, ormai annegata in macchie di colore e linee che rispondono solamente all’andamento della psiche e rifiutano qualsiasi aderenza al paesaggio reale.

C'è paesaggio e paesaggio

V. Kandinsky, Paesaggio con pioggia (1913)


Al termine di questo processo, l’artista dimostra di aver fronteggiato e conosciuto la propria materia, di averla studiata e scomposta, di averla impugnata e fagocitata, rendendola a tutti gli effetti parte di sé e concretizzando la massima di Klee secondo cui «l’arte non riproduce il visibile, lo rende visibile».
C.M.
Articolo pubblicato per la prima volta in Eclettica - la voce dei blogger.

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