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C'è poco da cantare

Creato il 16 novembre 2010 da Lucas
L'arcivescovo emerito di Bologna, il cardinal Giacomo Biffi, ha scritto oggi sulle pagine di Avvenire questo interessante articolo. Commentiamone alcuni passi.
In questo tempo squinternato – che sembra dare sempre più spazio al rifiuto del messaggio evangelico sostanziale e si compiace di contestare in tutti i modi la Chiesa cattolica, il suo magistero e quasi la sua stessa esistenza – fa capolino talvolta nella nostra coscienza di credenti una domanda semplice e inquietante: noi cristiani, nella vicenda storica complessiva, siamo vincitori o siamo perdenti?
No non siete ancora abbastanza perdenti. Non lo siete, inutile cullarvi con questa idea. Oh certo, rendendovi conto che il martirio è la ragione prima per proclamare la vostra vittoria e primo garante della vostra legittimità, sotto sotto non tanto siete dispiaciuti delle persecuzioni subite da alcuni fedeli in terre lontane; questo, inutile negarlo, vi consente di alzare la voce, quando in fondo basterebbe aiutare concretamente tali credenti o facendoli fuggire tali tristi realtà oppure aiutandoli in loco con adeguato servizio di sicurezza, anche privato.
Ma il punto non è nemmeno tanto questo. Il punto è che voi ergete a vittima, ovvero fate del vittimismo – soprattutto nella nostra società da voi insistentemente detta cristiana, dalle radici cristiane – là dove non ha luogo di essere considerato tale. Voi vedete vittime dove non sono, vi sentite perseguitati là dove non lo siete, dacché – e questo, ammettiamolo, soprattutto in Italia – voi non occupate posizioni deboli, ininfluenti, marginali. No, voi possedete ancora lo scettro di Costantino – oh non certo riguardo al fatto che siete il più minuscolo Stato al mondo (lasciando da parte, obtorto collo, i vostri concreti possedimenti immobiliari e patrimoni finanziari immani), ma per l'influenza pervasiva con la quale occupate la coscienza politica di un intero paese. Diteci con forza quale compagine politica attualmente in Italia abbia il coraggio di assumere nei vostri confronti una posizione radicale e libertaria come quella per esempio di uno Zapatero, da destra a sinistra dello schieramento politico?
Regola indubbia per vivere sicuri e soddisfatti è di stare per quel che è possibile dalla parte di chi vince. Gli italiani in genere conoscono bene questa norma furbesca e si sforzano di rispettarla. È un principio pratico che possiamo accogliere anche noi, con un’avvertenza però: che non si tratti di un vincitore temporaneo, destinato prima o poi alla sconfitta o almeno al superamento. Come canta il coro conclusivo del Falstaff di Verdi: «Ride bene chi ride – la risata final». Ma l’unico vincitore, ultimo e definitivo è il Signore Gesù. Ce lo ha assicurato lui stesso in una delle ore più dolenti e significative della sua avventura terrena: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
E come l'ha (l'avrebbe) vinto il mondo Gesù se non nella sua dimostrata sconfitta, subendo il patibolo della Crocifissione? Vedete qualcuno, soprattutto in Italia, che sta cercando di crocifiggervi?

E, dopo questa solenne dichiarazione, è andato incontro all’arresto, alla condanna, alla crocifissione, alla morte, alla Pasqua di risurrezione e di gloria: tutto questo – tutto – costituisce la sua “vittoria”. È una vittoria che origina nel tempo ma lo trascende. Gesù è il trionfatore in assoluto, e il suo trionfo è anche il nostro trionfo. Noi che aderiamo attraverso la fede al suo mistero ed entriamo nella sua comunione vitale diventiamo – con lui, in lui, e per lui – vincitori indiscutibili, vincitori non insidiabili, vincitori perenni. Perciò la prima lettera di Giovanni può scrivere: «Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.


È proprio questa sicurezza di fede che non vi concederà mai il dubbio essenziale all'essenza cristica dell'Eli, Eli lamà sabactani. Voi non sarete mai abbandonati abbastanza dalle passioni del potere, del dominio, della presa concreta sul reale. Voi non salirete mai, come entità collettiva chiamata Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, in cima al monte Calvario, non porterete mai abbastanza la croce, non sarete mai sufficientemente vilipesi, abbandonati perfino dai servi, dagli apostoli più fedeli. Voi vi ostinate a credere e questa credulità, queste fede rovina il mistero, il mistero dell'uno a uno, del faccia a faccia con Dio se mai Egli ci fosse. E infatti dite

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?» (1 Gv 5,4-5). Che la nostra ultima sorte sia positiva e fausta – e il nostro esito finale coincida, in Cristo, con un’apoteosi superiore a ogni nostra attesa – è dunque cosa sicura: se ci manteniamo con sincera fedeltà in questa prospettiva, la nostra travagliata avventura di credenti non mancherà mai di pace interiore e di gioia.


È questa gioia che non ha senso, questa forzata pace interiore che rovina il nuovo avvento. Dovete gettarvi a capofitto nell'assurdo, nell'assenza di significato, nella privazione più assoluta di senso e sentire il peso del nulla.
Ma il convincimento dell’immancabile vittoria escatologica psicologicamente stride con l’esperienza dell’insuccesso e del decadimento che affligge qualche stagione, anche protratta, delle comunità cristiane. Sarà bene ricordare a questo proposito che il Signore non ci ha mai promesso una militanza terrena che fosse una continua marcia trionfale e una vita cristiana paragonabile a una passeggiata sotto i mandorli in fiore. Egli ha piuttosto moltiplicato gli avvertimenti contrari. Secondo Gesù il rapporto normale del mondo con la «nazione santa» (cfr. 1 Pt 2,9) – il «mondo», cioè le forze politiche, le culture dominanti, le potenze della comunicazione – non è la comprensione, la simpatia, il dialogo; è la persecuzione: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Mt 10,22).
Guardatevi intorno: chi è che bussa nelle stanze vaticane, o in quelle dei vari arcivescovadi? Bussa il potere, l'unico al quale è consentito di bussare per essere ascoltato.
Ma la persecuzione, secondo l’ottica di Cristo, non è per noi una sciagura: è un modo di assimilarci alla croce del Redentore, e quindi una partecipazione alla sua esaltazione. Il martire, secondo la coscienza certa della Chiesa, espressa con chiarezza dalla liturgia, non è uno sconfitto, è un trionfatore, perché ha attuato nella forma più perfetta l’imitazione di colui che «ha vinto il mondo».
Sì, finché i martiri sono gli altri. E quanto è bello che questi altri abbiano la patente di cattolici.

È innegabile però che noi siamo tentati di tristezza quando ci troviamo alle prese con quello che ci sembra un declino del cristianesimo. Ma questo declino in effetti non c’è e non ci può essere, per la stessa autentica e indeformabile natura della realtà cristiana.


E se il declino non ci sarà, se la natura della realtà cristiana resterà indeformabile, allora non ci sarà nessuna speranza in un secondo avvento, giacché mi pare di ricordare che Cristo tornerà solo quando nessun umano avrà la pretesa di riconoscerlo, tornerà solo quando la fede sarà esaurita come le riserve del petrolio. E sapete perché? Ce lo dice lo stesso Biffi
Il cristianesimo primariamente e per sé non è una dottrina né un sistema etico né un insieme di pratiche rituali: intendiamoci, è anche tutte queste cose, ma non primariamente e per sé. Potremmo addirittura dire che primariamente e per sé non è neppure una “religione”: è una serie unificata di realtà (un avvenimento, una Persona, un disegno divino concepito nell’eternità e progressivamente attuato nella storia). 

Ecco, finché il cristianesimo sarà una religione (come di fatto è), finché sarà rito, mito e, soprattutto, magistero che ha la pretesa di dire all'uomo come deve comportarsi perché c'è una legge ch'è stata lasciata in dote da un Dio a dei chierici, soltanto i quali, di volta in volta nel corso della storia, sono in grado di decifrarla e adattarla alla realtà mondana – finché ci sarà tutto questo non ci sarà mai sconfitta, reale persecuzione, autentica crocifissione. Dunque, non ci sarà vera vittoria sul mondo, perché la Chiesa e i fedeli saranno sempre una parte di questo mondo. E allora? Ci sarà mai vera vittoria? Forse sì, quando – lo scrive lo stesso Biffi


Una filosofia che non abbia più alcun sostenitore è un fenomeno esaurito; una religione senza nessun seguace è una religione ormai estinta. Invece il Figlio di Dio che si incarna, la sua morte salvifica, la sua esistenza glorificata, il suo amplificarsi nella realtà del Christus totus, essendo dei “fatti” sono sempre vivi e vincenti; e lo sarebbero, pur se non ci fosse più nessuno quaggiù che li accolga e ci creda.

Lo saranno soprattutto se non ci sarà più nessuno quaggiù che li accolga e ci creda, vale a dire quando la religione cristiana – e non solo: quando tutte le religioni non avranno più alcun seguace e si saranno estinte nelle menti degli umani.

Si capisce allora come mai Gesù possa seraficamente prefigurarsi per il futuro terreno dei suoi discepoli le ipotesi più deprimenti: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Per lui la realtà indeformabile degli eventi salvifici è più importante della quantità delle adesioni: «Disse allora ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene”» (Gv 6,67).
E loro se ne andarono, tutti. Solo dopo ritornarono, una volta morto – e fondarono un culto, una religione, appunto.

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