Forse sta davvero cambiando qualcosa, nel nostro Alto Adige-Südtirol. La settimana trascorsa è stata caratterizzata da due avvenimenti importanti. La morte di Silvius Magnago, l’anziano Landeshauptmann al quale dobbiamo l’architettura dell’autonomia, ha fornito lo spunto per una serie di commenti e di valutazioni riassuntive sul cammino sin qui compiuto, liberando con ciò anche l’energia per tentare visioni future. Il ballottaggio per l’elezione dei sindaci nelle tre città di Merano, Laives e Bressanone ha poi completato il nuovo quadro amministrativo in larga parte dipinto due settimane prima. Sono ovviamente situazioni non collegate direttamente tra loro. Partendo da esse è possibile comunque abbozzare un ordito, una trama capace di suggerire in che direzione ci stiamo muovendo.
Propongo la seguente ipotesi: gli altoatesini e i sudtirolesi (distinguiamoli ancora per rendere evidente il contrasto con questa nuova tendenza) sono stanchi di essere contrapposti gli uni agli altri. Non si tratta magari ancora di una stanchezza alla quale già corrispondono grandi novità politiche. Ma pare ormai tangibile l’insofferenza a seguire gli schemi prestabiliti, la rinuncia al pigro compattamento “etnico” e – dove mancavano alternative praticabili – abbiamo avuto come primo effetto (ancorché negativo) una notevole diserzione dal voto.
Chi ha invece scelto di recarsi alle urne si è rivolto a quei partiti che hanno deciso di governare in presenza di un patto di collaborazione più chiaro, più forte. Bolzano è un esempio lampante. Ma anche Laives ha confermato questo dato. E a Merano una personalità di spicco come Christina Kury ha impedito che venisse ammainata la bandiera dell’“interetnicità”. Un candidato credibile, sostenuto da un progetto basato su punti programmatici più vicini agli interessi concreti della gente, ha oggi così maggiori possibilità di prevalere su chi invece rimane a fare la guardia ai vecchi bastioni identitari. Persino il voto di protesta, da questo punto di vista, ha assunto un orientamento sorpendentemente trasversale, in virtù di leader abili a mettere in evidenza la propria individualità, anziché l’appartenenza esclusiva al proprio gruppo linguistico (è accaduto a Bressanone, dove Walter Blaas dei Freiheitlichen ha forse preso più voti “italiani” di quanti ne abbia presi Albert Pürgstaller, più compromesso con le logiche bloccate del vecchio potere).
È ovviamente presto per dire se siamo di fronte a un cambiamento profondo, capace di plasmare sul lungo periodo una diversa mentalità. Ma registriamolo, intanto, e impegnamoci affinché sia davvero così.
Corriere dell’Alto Adige, 2 giugno 2010