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C’è un nuovo sceriffo in rete

Creato il 01 agosto 2013 da Tabulerase

censura internetParlare di rete ed internet in Italia è un volersi fare del male tra comicità, nefandezze, ignoranza estrema di tutto quello che concerne il mondo virtuale che è appannaggio dei politici che si sono succeduti al comando in questi anni, che più che allo sviluppo di uno strumento fondamentale per il paese, ne hanno estrapolato solo un’atavica paura per una zona franca illimitata che è rimasta, finora, fuori dalle loro rapaci mani.
Proviamo a riassumere la situazione odierna fra le continue proposte di legge che affiorano sull’argomento, cercando di separare la crusca dal grano come i contadini di una volta, possiamo purtroppo scoprire che l’unica nota positiva è la totale liberalizzazione del wi-fi e degli hotspot pubblici così fortemente perseguita dal M5S, non a caso un movimento che della rete ha fatto ragione di vita. Proprio da questo possiamo partire ricordando il famigerato decreto Pisanu che ispirandosi ad una “sicurezza” ci cui solo l’allora ministro aveva avuto sentore, unico paese Europeo impedì appunto lo sviluppo delle comunicazione wireless pubbliche nel nostro paese, situazione solo leggermente modificata dal governo Monti lo scorso anno e, finalmente, oggi sembra trovare la propria “normalità” con la caduta dell’obbligo di identificazione di chi accede ad un hotspot pubblico.

Sempre restando alla legislatura sotto il governo Berlusconi non possiamo scordarci della delirante proposta di legge dell’on.le Gabriella Carlucci che catapultata dai palchi televisivi all’aula parlamentare, viene ricordata per avere proposto, dimostrando un’ignoranza del funzionamento della rete degna di un indigeno della Papuasia del secolo scorso, di identificare chiunque pubblicasse qualcosa in rete investendo di responsabilità financo i provider. Ogni commento risulta perfino superfluo…. HHhhh
“Internet non può continuare ad essere il luogo virtuale dell’impunità” afferma pomposamente il sen. Salvo Torrisi del PDL, ignorando evidentemente che le leggi del mondo reale si applicano pedissequamente a quello virtuale, la sua soluzione a questo presunto caos? Obbligo a chiunque di rimuovere entro 24 ore dietro una semplice richiesta il contenuto incriminato e tutti i commenti, in caso contrario si verrebbe assimilati al Direttore di un giornale con tanto quindi di carcere, per i blog amatoriali che vengono aggiornati quando si può la morte sarebbe ovviamente certa.
Di tono non molto diverso l’altra proposta di legge del sen. D’Ambruoso di Scelta Civica, evidentemente l’effetto Caronte ha anticipato i suoi effetti sui nostri politici, secondo questo ennesimo magistrato prestato alla politica, lascia ben 48 ore, bontà sua, per la rettifica ed elimina anche il carcere limitando l’eventuale sanzione alla bazzecola di € 16.000, ma non pago di intervenire nella censura della rete, l’illustre D’Ambruoso include perfino anche saggi e libri….
La frenesia censoria verso blog e siti non conosce limiti, abbiamo il sen. Chiarelli, sempre PDL, che con l’appoggio più o meno larvato Costa (PDL) e Verini (PD) lascia immutato l’obbligo di rettifica a semplice richiesta entro le canoniche 48 ore, ma come pena addirittura lo spegnimento per 3 anni del sito se non ottempera, oltre 5.000 euro di multa o 5 anni di carcere, peggio insomma che provocare una strage sulle strade.
Ne avete abbastanza? Abbiate pazienza perché ho tenuto, come in ogni buon menu che si rispetti, il meglio come dessert, un passo indietro ci riporta al 2010 quando l’allora ministro Paolo Romani, ex- dirigente del settore televisivo divenne, dopo un lungo tiraemolla proprio per via dei suoi trascorsi, ministro per le Telecomunicazioni del governo Berlusconi, proseguendo nel mantra del Cavaliere di ritenere la magistratura un ente “improprio”, spogliò tramite decreto la stessa, assieme ovviamente al Parlamento, della competenza sul rispetto delle regole nel web delegando le stesse all’AGCOM, dove intanto si sedeva Antonio Martusciello, ex-dirigente di Publitalia, affidandole compiti da sceriffo assolutamente impropri per un’autorità garante e togliendo quindi ogni possibilità di contraddittorio alle parti eventualmente chiamate in causa per violazione di copyright, garanzie e divieti che sono invece garantiti, come in ogni altro paese europeo, solo in sede giudicante. Per capirsi la differenza è fondamentale, in un paese democratico un sito internet viene chiuso su ordine della magistratura con tutte le possibilità di tutela e contraddittorio garantite dalla legge, con il decreto Romani l’AGCOM può invece emettere un semplice dispositivo amministrativo su istanza ad esempio di una multinazionale del settore audiovisivo, l’aborto giuridico appare lampante. Tanto è vero che il presidente dell’authority dell’epoca, l’esimio giurista Calabrò ritenne di soprassedere in attesa di un’apposita legge del Parlamento. Ma ora nasce il governo Letta, come vice-ministro con delega alle comunicazioni viene messo il prof. Catricalà i cui primi risultati sono la perdita dei 20 milioni di euro destinati alla banda larga, il rimando inifinito del bando per l’assegnazione delle frequenze tv e del decreto a sostegno delle tv locali. In mezzo a tutto questo Catricalà riprende le dichiarazioni già rilasciate quando era presidente dell’antitrust evidenziando una sua palese insofferenze verso la democrazia e la libertà di parola non strutturata tipica della rete, appena nominato responsabile del settore da Letta esercita pressioni sull’AGCOM ora governata da Cardani, che molto meno sensibile del giurista Calabrò ai diritti dei cittadini, si affretta a varare un regolamento che attribuisce all’Authority, quindi a se stesso, poteri molto ampi in materia di internet.

Non sono problemi da sottovalutare, l’assimilazione dei webtv e webradio alle tradizionali emittenti prevede tasse di inizio attività al di fuori della portata amatoriale e causerebbe la morte di decine di emittenti di tal tipo, l’obbligo di rettifica e le pene previste così come ipotizzato nei provvedimenti presentatii sopracitati porterebbero alla chiusura di centinaia di blog che non sono continuamente seguiti proprio per il loro carattere non professionale, la scusa del copyright asservito alle lobbies delle multinazionali vedrebbe l’oscuramento, come già successo, di centinaia di siti magari colpevoli solo di avere un link e non materiale depositato, ma l’ignoranza del funzionamento della rete che è pregnante nella nostra classe politica può causare alla rete più danni di un conflitto atomico e portare la nostra web-democracy a contendere il non onorevole primato di stati come Russia, Cina e Iran, solo per citarne alcuni.


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