Il comune sentire distingue nettamente tra esseri viventi e non. Ma tra la dimensione dei viventi e quella del mondo, diciamo così, minerale, c’è una continua e complessa osmosi senza soluzione di continuità. Dal punto di vista chimico ciò che oggi appartiene ai regni del non vivente, domani sarà integrato nei processi biologici e nelle strutture di un qualche organismo.
Che cosa c’è di più minerale di una parete rocciosa in montagna? Ma se quella parete è il calcare dei nostri Appennini, come al monte Bove o al Gran Sasso, oppure una vertiginosa sequenza di strapiombi dolomitici, essi non esisterebbero senza il paziente lavoro di umili organismi marini che li hanno edificati nelle passate epoche geologiche.
- Il Sasso Piatto domina l’altopiano di Siusi
Se essi per alcune centinaia di milioni di anni, non avessero estratto il carbonato di calcio dall’acqua di mare, costruito il proprio guscio o scheletro per poi abbandonarlo in forma di sedimento. Accumulatosi lentamente ma inesorabilmente oggi forma le migliaia di metri di rocce che ammiriamo, variamente modellate dall’erosione di fiumi e ghiacciai, a formare i più grandiosi paesaggi di gran parte delle montagne del mondo.
E fiumi e ghiacciai poi anche loro pazientemente le erodono e consumano restituendo all’acqua quel carbonato di calcio che gli organismi recuperano per ricostruire il loro guscio e i loro scheletri.
Questa inestricabile compenetrazione tra materia “non vivente” e “vivente” è stata intuita sia da scienziat, filosofi e naturalisti che da diversi mistici. Tra tutti mi piace accennare a Panikkar che ha fondato il suo pensiero sul concetto di “cosmoteandrico” ovvero la pluridimensione della realtà in cui si fonde l’uomo che è anche dio e cosmo. Tre componenti così intimamente intrecciati che ogni tentativo di separazione porta alla distruzione del tutto.
Qui sta forse
una delle radici più profonde del malessere che oggi affligge l’uomo, ridurlo a una sola dimensione affinchè lo si possa manipolare a favore del potere di qualcuno.