Non è Istanbul dai mille colori e luci, non è Ankara dai larghi viali e palazzoni, ma sono le colline di una grigia e notturna Anatolia, che vedono muovere un corteo di tre auto con dentro i poliziotti, il colpevole di un delitto, un magistrato ed alcuni collaboratori, tutti insieme alla ricerca del luogo dove gli assassini rei confessi hanno seppellito la loro vittima, ma la ricerca è lunga perché i colpevoli non sanno trovare il luogo esatto, perché le colline sono tutte uguali. Una metafora della Turchia alla ricerca di se stessa e anche dei protagonisti, che impariamo a conoscere durante il piccolo viaggio di questa strana carovana, all’insegna di una certa ironia di fondo tra allusioni ai cambiamenti degli ultimi anni, linguaggio burocratico dei funzionari statali e le piccole speranze degli abitanti del villaggio dove pernottare o della cittadina dove depositare per l’autopsia il cadavere finalmente trovato, chiudere l’inchiesta e ritornare alla “normalità”. Il film è Bir zamanlar Anadolu’da tradotto in italiano con “C’era una volta in Anatolia”, di Nuri Bilge Ceylan, vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 2011, passato velocemente in Italia l’anno scorso solo in qualche rassegna d’essai. E’ un giallo insolito, senza alcuna suspense, ma che scava a fondo nei caratteri e nelle debolezze, potremmo dire nei piccoli segreti dei protagonisti: un colpevole che cerca di proteggere qualcuno, un poliziotto dai metodi rudi in fuga da preoccupazioni familiari, un giovane medico incapace di accostarsi alla vita, un magistrato abile a risolvere tanti delitti, ma che non ha mai voluto indagare sulla misteriosa morte dell’amata moglie. Tante piccole storie, che vorremo vedere risolte più o meno felicemente, ma la speranza non può appartenere ai nostri protagonisti, o forse ad alcuni di loro, o forse solo alle giovani generazioni, rappresentate dal figlio della vittima.
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