Kenny Random (Andrea Coppo) è un artista padovano che è maturato nei più disparati ambienti all’estero, da Londra a Miami e ha trovato notorietà in città grazie alla diatriba sul salvataggio di un esempio della sua street art, il folletto che compare sui muri di Padova e in particolare sul muro di un edificio in restauro in centro città. Con la ristrutturazione in corso, uno dei murales rischiava di sparire coperto da una mano di vernice e invece grazie all’appello di una schiera di estimatori guidati dall’architetto Multinelli, il folletto sembra essersi salvato e pare che resti definitivamente al suo posto. In città, intanto, è scoppiata da qualche mese la Kenny Random mania: studenti, appassionati ma anche semplici curiosi vanno alla ricerca del prossimo graffito disegnato tra le vie del centro. E in alcuni negozi di Venezia è anche possibile trovare prodotti marchiati con i suoi disegni.
Kenny Random ha deciso di fare un regalo di Natale alla città, scatenando una caccia al tesoro di tre giorni, guidata da indizi postati da Kenny stesso sulla sua pagina Facebook. Il blog sugarpulp scrive: Io personalmente penso che “The gift, 32 opere in cerca di casa” sia un’idea geniale ma, al di là di tutto, mi sembra logico e scontato che sia anche una trovata pubblicitaria. Anzi, un’ottima trovata pubblicitaria! L’idea di Kenny Random è molto semplice: «Le opere saranno furtivamente appese, appoggiate o nascoste tra vicoli, piazze e portici di Padova. Trovale e sono tue».
E ovviamente, possedere uno smartphone aumenta molto le probabilità di successo. Ad ogni foto, piovono i commenti: c’è chi prova a indovinare il luogo del nascondiglio, chi dice di aver preso l’opera, chi critica Kenny Random perché le regole del gioco facilitano chi ha l’iPhone, chi invece dice di divertirsi, anche se non può partecipare per motivi di lavoro. I detrattori di Kenny Random, che si sono chiamati Kenny Fandom, gli contestano l’essere commerciale e di farsi pubblicità al marchio con cui vende T-shirt ecc., e hanno organizzato una contro-caccia distribuendo disegni in perfetto Kenny Random, a dimostrazione della sua totale replicabilità e commerciabilità.
E’ interessante come questi detrattori Fandom siano ancorati a canoni di ‘originalità’ e ‘non commerciabilità’ romantici e ottocenteschi, come se l’artista fosse un personaggio elitario che non vende, ma crea. Che ancora oggi si faccia questo genere di polemica è tipico dell’elitarismo snobistico e radicalmente reazionario di troppi intellettuali italiani. La replicabilità dell’opera d’arte ha uno dei suoi primi interpreti in Gutenberg, che inventando la stampa ha anche inventato la riproducibilità a macchina. Non che le opere d’arte non fossero replicate anche prima, al contrario: erano replicate perché erano opere d’arte. Abbiano interi musei pieni di copie romane di statue greche, che a volte sono l’unica cosa che ci resta di un antico capolavoro. A Roma, al Museo Nazionale Romano, esistono almeno tre discoboli, compreso il più famoso. Tanto per dire. Opere letterarie venivano copiate senza problemi perché l’idea individualistica della citazione non era ancora stata inventata. Ma è con l’invenzione della stampa, che segna anche l’inizio dello stato nazionale, dell’individualismo rinascimentale che porterà alla Riforma e allo sviluppo del capitalismo, che comincia a formarsi un distacco tra l’artista e il suo pubblico, che diventerà sempre più ampio.
L’elitarismo sempre più esasperato dell’artista ha il suo parallelo nell’elitarismo del mecenate e del critico d’arte. Il pubblico di massa o la massa del pubblico ‘puzzano’ di lavoro manuale, di scarpe grosse, di gusti volgari e grossolani. E’ interessante che, mentre l’artista diventava sempre più elitario, si allargava la richiesta di partecipazione popolare alla politica, di suffragio universale. La riproducibilità dell’opera d’arte ha un nuovo impulso con la nascita della fotografia e di questo Walter Benjamin ne è perfettamente consapevole negli anni del primo dopoguerra del Novecento. La consacrazione della ‘replicabilità come arte’ e della ‘pubblicità come arte’ avvengono con l’esplosione di quella che giustamente si chiama ‘pop art’, l’arte popolare per eccellenza, con le serigrafie fatte da Andy Warhol di Marylin, di Mao, ecc., con le sue lattine di Campbell Soup, con i fumetti di Roy Lichtenstein. La Pop art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi della contemporaneità, il cosiddetto folclore urbano. È un’arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: i fumetti, la pubblicità, i quadri riprodotti in serie, attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili . E’ arte democratica per eccellenza, che restituisce al pubblico non elitario un discorso sull’arte di cui era stata espropriato fin dal medioevo.
Non stupisce che oggi, quando in Italia si sta mettendo in discussione l’utilità del suffragio universale, soprattutto in certi ambienti, si critichi con nozioni stantie e aristocratiche un evento artistico pop e post-moderno come quello del ‘Dono’ di Kenny Random, che ha creato una straordinaria partecipazione in città, dove chiunque poteva partecipare e del tutto gratis. L’ironia della contro-caccia dei Fandom è estremamente divertente: mettendo in giro opere in stile Random, non solo fanno un omaggio straordinario alla sua capacità di leader artistico, ma anzi, se mai, rinforzano il messaggio attraverso il mezzo, per citare McLuhan .
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