Capita che una ragazza di 29 anni, Reeva Steenkamp, venga brutalmente assassinata dal suo fidanzato con quattro colpi di arma da fuoco. Capita che questa ragazza sia una modella e che pertanto i giornali parlino di lei quasi esclusivamente come “una delle 100 donne più sexy del mondo”, spesso senza nemmeno riportarne il nome e gli interessi contro la violenza di genere. Capita che l’omocida sia un noto sportivo olimpico e paralimpico dalle “gambe al carbonio”, caratteristica che gli ha attribuito il soprannome di <<blade runner>> e che ha commosso nel tempo il pubblico, durante le sue vittorie. Capita quindi, che per dare la notizia dell’omicidio, i giornali parlino più di lui che di lei, delle sue lacrime, della “fine di un campione“.
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Eh già, perchè i campioni sono intoccabili. E’ luogo comune pensare che siano immuni dagli atteggiamenti dei “comuni mortali”. Si pensa che chi pesta una donna, chi la uccide, sia solo e soltanto un depravato ai margini del sistema sociale. Non si comprende come questa cultura del possesso e della misoginia sia trasversale, non conosca colore della pelle o rango sociale.
Pertanto, quando il femminicidio è perpetrato all’interno di coppie “famose”, la cronaca si tinge di macabro sensazionalismo e invece di interrogarsi sul fenomeno della violenza di genere, si dimentica la vittima e fa sì che ci si scervelli nei salottini televisivi per capire il perchè e il per come un noto personaggio famoso, ricco e acclamato, possa aver ucciso la sua bellissima donna. I media si danno quindi alla smodata ricerca di spiegazioni, giustificzioni. Saranno stati gli steroidi? Sarà stato un raptus di gelosia per i messaggini che la modella riceveva? E per la proprietà transitiva le stesse discussioni vengono traslate nei nostri di salotti, di fronte ai tg e ai programmi dell’infotainment pomeridiano: “Ma come avrà fatto ad uccidere un pezzo di ragazza come quella?”; “Caspita, cosa può aver spinto un personaggio di quel calibro a mandare tutto a quel paese?”.
Molto meno spesso le trasmissioni televise si interrogano sul fenomeno femminicidio in tutte le sue sfacettature, in tutta la sua interezza e globalità. Molto meno spesso parlano di possesso e odio di genere, inquadrando il caso non come fatto privato dalle incomprensibili motivazioni, ma all’interno della costellazione di casi che portano la stessa matrice misogina. Perchè per ogni donna uccisa ce ne sono altre migliaia uccise, minacciate, molestate, violate. Che i loro aguzzini siano considerati dall’opinione pubblica “noti personaggi televisi” o “reietti della società”.
Lo stesso accade in questi giorni per quanto riguarda una notizia di stupro. In questo caso il mito che cade è quello del “tronista, bello e impossibile”. Eh già, com’è possibile che un ragazzo giovane e aitante, uno di quelli che “non deve chiedere mai”, che stava seduto nel contenitore televisivo di ‘Uomini e Donne’, corteggiato da decine di ragazze, possa stuprare? Ed è ecco come l’avvocata del tronista in questione si esprime in questa nostra Italietta ormai alla deriva:
L’avvocata ci racconta come la vicenda faccia soffrire l’imputato, ma soprattutto afferma che “essendo un gran bel ragazzo non avrebbe alcun bisogno di costringere una donna ad avere rapporti con lui“.
Evidentemente per l’avvocata esiste l’identikit del perfetto stupratore: brutto e in astinenza. Evidentemente per l’avvocata lo stupro è un atto di libidine, posto in essere da un uomo poco piacente che per avere un rapporto sessuale con una donna è spinto a compiere un atto di violenza!
Evidentemente un ragazzo di bell’aspetto non potrà mai arrivare a stuprare, poichè, non avendo problemi ad avere rapporti sessuali quotidianamente, non ne sentirebbe l‘esigenza, il bisogno.
Evidentemenre l’avvocata non riesce a non mettere sullo stesso piano un rapporto sessuale consenziente con uno stupro! Non si rende conto che la brutalizzazione di donne non avviene per libido o astinenza da pratiche sessuali, ma è un atto vile, violento, di intrinsica misognia e di possesso, che non dipende dai lineamenti del volto del colpevole!
Perchè la violenza di genere, all’alba del 2013, non è ancora affrontata come dovrebbe? Perchè siamo ancora costrett* a vederla mistificata, minimizzata, banalizzata? Che cosa ostacola un percorso di consapevolezza in tal senso?
Siamo stanche di doverlo ripetere all’infinito, è ora che ci si prenda tutt* la responsabilità del contesto culturale in cui viviamo e che si affronti la violenza di genere per quella che è, senza giri di parole, senza mescolare le carte in tavola, senza connivenza e omertà, ma soprattutto senza strizzare l’occhio a quel subdolo substrato sessista che la alimenta!