Magazine Diario personale

Ninuccia e le scarpe degli Angeli (fine sesto cap.)

Da Gattolona1964

Estrasse finalmente tutte e due le braccia dal cassonetto. Nelle mani aveva due paia di scarpe: un paio erano di tela grigie, l’altro paio erano robuste ed imbottite scarpe da ginnastica di colore rosso. “Non saranno di moda non sarà nemmeno il tuo numero perfetto, ma almeno ti ripari i piedi. Considerando la temperatura che abbiamo, credo opterai per quelle robuste da ginnastica.” Ninuccia che odiava il colore rosso perché le ricordava quel lago di sangue, disse a malincuore:“Potendo scegliere indosserò le espadrillas, anche se avrò un poco freddo ai piedi, mi sono più congeniali. Indosserò altre due paia di calzettoni di lana che ho in valigia, per compensare lo spessore mancante “A questa risposta Gaudenzio gliele porse. Non aveva compreso bene il perché di quella scelta azzardata.“Va beh, contenta tu di gelare, contenti tutti.”L’uomo, che non riusciva a trovare un nesso logico nella scelta di Dora si rimise in silenzio ad osservarla mentre si infilava le due paia di calze e indossava le scarpette di tela, quasi come fossero un altro paio di calze. Il fischio avvisava che era in arrivo sul binario numero sessantotto, il treno per Paola, perciò si rimisero in fila per salire. Si era fatta l’una e trenta di notte. Salendo sul treno cercarono i loro scompartimenti, augurandosi che fossero ben distanti l’uno dall’altra. Si salutarono così, con una poco convinta ma vigorosa stretta di mano. Gaudenzio non desiderava fare un altro pezzo di strada con Dora accanto, quella donna non gli piaceva, troppi misteri erano cuciti addosso alla sua persona e parecchie cose non gli tornavano. Quando a Gaudenzio non tornava qualcosa lui taceva e ascoltava il rumore del silenzio, sperando di trarne le giuste e concrete risposte. Qualche volta riusciva a trovarle. Non aveva nemmeno compreso il motivo per cui Dora aveva lasciato un biglietto da cinquanta euro nel cassonetto della spazzatura “Per pagare le scarpe che abbiamo rubato” si giustificò lei, mentre lui non capiva e diceva che se qualcuno le aveva abbandonate voleva dire che non gli servivano più.“Così se altri poveretti dopo di noi ne hanno bisogno e non le trovano, se le potranno comperare le scarpe invece di avere i piedi ghiacciati: non le pare?” Ninuccia continuava imperterrita a dare del lei a quell’uomo così mistico e strano, per nulla somigliante a un uomo del suo mondo. Niente lo accomunava a lei, a parte quello strano sfregolio involontario, che sentiva nelle parti intime ogni qualvolta lui le era troppo vicino. Non se lo spiegava, questo la mandava su di giri e cercava con la razionalità di scacciare via dal suo corpo quel leggero schiudersi delle piccole e grandi labbra, ma niente da fare! Loro non l’ascoltavano e nemmeno le obbedivano, come fosse in un Consiglio d’Amministrazione nel quale, immancabilmente qualcuno non era d’accordo con le decisioni da lei prese. Per tutta risposta esse si schiudevano ancora di più a loro piacimento, facendola innervosire parecchio. Non riusciva a tenere testa alla sua natura più intima e segreta, questo per lei era un dato  che giocava in suo sfavore, non le avrebbe di certo giovato un amplesso con il primo finto tonto che aveva incontrato nel suo viaggio. Anzi! Era un eufemismo chiamarlo viaggio e basta, quella era la sua unica ragione di vita ora, altrimenti quella vita piena di ori e di orpelli inutili se la sarebbe tolta a Bologna, ma c’era Beniamino da cercare e tutte le spiegazioni del caso da fornirgli.
I pruriti sessuali li doveva assolutamente mettere da parte, prese una compressa di ansiolitico per calmarsi un po’, stramaledicendo quella voglia di amare ancora mai sopita. Ora non aveva più sonno ed estrasse dalla valigia un vecchio Rosario appartenuto a nonna Divina. Iniziò pian piano a snocciolarlo lentamente, quasi come cercasse la giusta medicina in quelle Preghiere.  Una medicina che la potesse guarire da tutti i suoi mali in un battibaleno, ben sapendo che non funzionava così. Recitava un’ Ave Maria dopo l’altra in modo meccanico e poco convinta, mentre controllava di continuo l’orologio del corridoio.Alle quattro del mattino, minuto più minuto meno, sarebbe arrivata a Paola, sempre che il treno facesse il suo dovere senza intoppi. Quel bellissimo Rosario antico di granate color viola scuro, le faceva ricordare quando nei giorni del Natale con Rosina andava per le stradine di Castrolibero a piedi nudi a chiedere l’elemosina, per comperare i dolcetti natalizi alla panetteria. Era perfettamente sveglia e aveva davanti a sé la scena: Ninni e Rosa vestite uguali con il grembiulino rosso ben stirato, i capelli raccolti in una grossa treccia legati con uno spago per cucire le tomaie. Rosa suonava l’armonica a bocca, mentre Ninni ballava con grazia e i passanti mentre applaudivano, allungavano loro parecchie monetine. Oramai ogni Natale si ripeteva questo rituale e loro riuscivano a mettere da parte qualche spicciolo sia per i dolcetti che tanto piacevano a Rosina, sia per la carta e le matite che occorrevano a Ninuccia per scrivere i suoi racconti. Questi ricordi la facevano sorridere e mentre stava per recitare l’ultima decina di Ave Maria, assorta nelle sue preghiere, sentì bussare lievemente al suo scompartimento. Era così concentrata che non si accorse subito chi era, pensava fosse il controllore del turno di notte, che effettuava il solito giro per accertarsi che tutto andasse per il meglio. Prima di guardare il vetro, udì:”Posso entrare? Ti disturbo?”La voce conosciuta poche ore fa la fece girare di scatto e rispose” Sì, entra pure, stavo recitando il Rosario, non mi disturbi affatto.”Pronunciò queste parole come fosse la cosa più naturale del mondo, svelando un lato di sé intimo, semplice ed umile e finalmente riuscì a dargli del tu. Ninuccia era molto credente, anche se poco praticante. In diverse occasioni recitava il Rosario, sostenendo che se non ci fosse stato nei momenti più bui della sua esistenza, non sarebbe riuscita ad arrivare fino a qui. La figura che entrava bnel piccolo abitacolo, dovette abbassare la testa e chinarsi per  “Sarà alto almeno un metro e novantatré” pensò Ninuccia in quell’istante, squadrandolo da capo a piedi, come se lo vedesse per la prima volta. Era imponente e massiccio sotto a quell’andatura goffa e triste che certamente mascherava un altro uomo, ben diverso dall’immagine che voleva dare al mondo. Ma perché voleva mimetizzarsi a quel modo? Perché celare dietro ad una maschera di nullità, la sua imponente figura maschile? Mentre lui si accarezzava la barba per l’ennesima volta, Ninuccia notò che le mani che avevano dita lunghe e regolari quasi da chirurgo, a parte le unghie che erano molto sporche. Erano mani meravigliose, senza alcun segno di vecchiaia sui dorsi, senza nodi, senza le macchie marroni dovute all’età, mani salde e forti che avrebbero saputo come prenderla e come farla urlare di piacere.
Dovette deglutire forte e bere un sorso d’acqua, per ricacciare indietro questi pensieri che prepotentemente le affollavano la mente ogni qualvolta Gaudenzio era vicino a lei. Ma non poteva permetterselo, ora non era il tempo per provare nulla: nessun sentimento, nessuna forza andava sprecata, nessun orgasmo avrebbe mai più provato: solo amore e affetto per suo figlio e per le sue gemelle. Ora era venuto il tempo di fare la mamma. La donna, la femmina che sapeva regalare orgasmi, a volte senza essere ricambiata, era andata via e non sarebbe ritornata molto facilmente. L’uomo con barba folta e i denti sporchi, che ora aveva anche un nome Gaudenzio e sicuramente possedeva anche un cognome, la guardava fisso, cercando di spogliarla con la sola forza dei suoi magnetici occhi di e di carpirne anche i più reconditi segreti. Bella pretesa per uno sconosciuto! Quando nemmeno il professor Ugoletti, dopo anni di sedute e colloqui era riuscito a capire la metà, di ciò che la mente di Ninuccia Ercolani conteneva. Ma Gaudenzio aveva il potere di farla sentire nuda come un verme, anche se l’uomo indossava una goffaggine finta, era in grado di farla sentire a disagio.
“Come faccio per mascherare tutti questi segreti? Sono troppi e troppo pesanti da portare, solo Rosina e Dio lo sanno! Gaudenzio non capirebbe mai il perché di tutte queste bugie, perciò mi devo rassegnare e metterci una pietra sopra, una volta arrivati a Castrolibero spero di non incontrarlo mai più.” Il nome di questo uomo, i modi di fare e l’imponente figura, per un attimo le sembrarono familiari ed ebbe un flash davanti agli occhi.
Era come se rivedesse Don Gaudenzio Alessi, quando lei abitava ancora al Paese, aveva persino il tic nervoso di toccarsi la barba in continuazione,da sinistra a destra e non viceversa. “Che stranezza” pensava “Si grattano la barba nello stesso identico modo, mah, sarà un caso.” Poi invece pensò che la stanchezza le stava giocando dei brutti scherzi. Mentre lui non accennava a smettere di guardarla con introspezione, di botto lei gli chiese “Ma ce l’hai un cognome? O sei Gaudenzio e basta?”. “E tu ce l’hai un cognome? O sei Dora e basta?”rispose prontamente lui. Stabilirono di comune accordo, che per ora erano semplicemente Gaudenzio e Dora, un uomo e una donna, Dora e Gaudenzio, una donna ed un uomo. “Sono venuto a chiederti se hai freddo ai piedi e se vuoi un altro paio di calze di lana mie, ne ho nel mio sacco di pesantissime, ed inoltre volevo accertarmi se stai bene e se hai fame volevo inoltre ricordarti che tra un po’ dobbiamo scendere. Pensavo ti fossi addormentata di nuovo e pensavo che devi scendere come me a Paola. O hai cambiato idea?” Ninuccia era sorpresa per tutte le attenzioni, che quest’uomo così cupo e originale le riservava, perciò rispose con tutta tranquillità:” Sto bene e non ho freddo per il momento, sono solo stanca, non mi sono addormentata e sono molto felice, che tu sia venuto a vedere come sto. Quanti anni hai Gaudenzio?”Chiese Ninuccia in un sussurro. “Ne ho cinquantacinque, perché fa differenza che io ne abbia settanta, o venti, o cinquantacinque?” “No, non ne fa” rispose Ninuccia e non Dora”Io ne ho quasi sessanta, così siamo pari e non me lo devi chiedere tra cinque minuti”. Tu mi dici qualcosa di te e io ti dico qualcosa di me? Sei d’accordo?” Ma Gaudenzio scosse la testa e rispose “Questo è un gioco che non mi piace, io ti dico quello che mi pare e anche tu dovrai fare lo stesso, mica siamo in debito l’uno nei confronti dell’altra! Io ti ho solo aiutata a salire su quel dannato Eurostar, ti ho allungato le gambe sul seggiolino per farti riposare meglio e ti procurato la scarpa che hai perso, tutto qua: non mi devi nulla.” “Perché dannato Eurostar? Non sei contento di ritornare a casa tua? Sono io che ti sto procurando ansia e rabbia, per chiamare dannato un mezzo che in fin dei conti ti sta conducendo al tuo nido?”
“Purtroppo, la parola casa se casa si può chiamare, per me significa famiglia, perciò il treno è dannato” E così dicendo si alzò dallo scompartimento e se ne andò via. Ninuccia, ancora una volta rimase estremamente sbalordita ed incredula davanti all’atteggiamento di quest’uomo che sembrava così lontano dal suo mondo, ma che inspiegabilmente sentiva vicino come non le accadeva da tanto tempo. Questo era per lei inconcepibile, dato che non solo era più giovine di lei, anche se di poco, ma non era certamente alla sua altezza di oggi. Non era del rango della Dottoressa Ercolani Ninuccia, non apparteneva al suo mondo uno che era esperto di cassonetti dell’immondizia. A Dora e basta poteva anche andare bene, a Ninuccia Ercolani, no, anche se avesse perso la testa! I suoi piedi per le ore passate seduta, erano diventati ghiacciati, nonostante le paia di calze sovrapposte, quattro per la precisione. La valigia di cartone nella mano scarlatta per il gran freddo,le pesava come un macigno in quella stazione di Paola, sola e spaurita alle quattro e quindici minuti del mattino. Sebbene fosse assonnata e molto molto stanca, lesse il tabellone: il primo regionale per Cosenza ci sarebbe stato solo alle sei e trenta, quindi mancavano ancora due ore e quindici minuti di freddo e di solitudine. Di Gaudenzio nessuna traccia, di Ninuccia nemmeno l’ombra, mentre Dora batteva i piedi per il freddo.

Fine sesto capitolo.



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