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Caffè alla Norma

Da Hombre @LaLineadHombre
Caffè alla NormaSì, ma un vi spaventate che unnè un caffè colle melanzane, è un’antra cosa. Guasi meglio.
C’era queste casette in fila, tirate su a avanzatempo dai babbi muratori e dai parenti volenterosi, erano buone sì per tornarci ma mica finite. In molte stanze un c’era mobili, lampadari per carità, e fuori mancava le cancellate, le reti a dividere, i giardini. L’ultima mano di tinta l’era da dare, chissà quando e se, e tutto aveva assunto quell’aria indecisa di provvisorietà definitiva, se vu intendete icchè voglio dire.
Dopo mangiato ci si trovava da questo o da quello, poco importava a casa di chi, era un girare e toccava a tutti, e poco importava chi c’era o non c’era. Chi unn’era a lavorare a quell’ora, di certo veniva.
Da casa dell’Itala, giù a quella dei Lumini e degli Orsini, poi i Nuti, i Ceccarelli e noi, quindi a seguire il Fallera, Trinchella e la Norma con il figlio, quello zibo e barbuto.
Bastava scavalcare un muretto o due, infilarsi in una siepe che ancora unn'era nemmanco un cespuglio, per transumare di proprietà in proprietà seguendo l’aroma del caffè di chi ospitava quel giorno.
E poi seduti attorno alla tavola, qualcuno in piedi se magari c’aveva da scappare per tornare a lavoro, ma tutti, da noi dodicenni ai sessantenni a pigliarsi un caffè di quelli boni.
Lo riconoscevi ad occhi chiusi se l’aveva fatto l’Itala, o la Tosca del Ceccarelli o la mi’ mamma. Tutti di moka s’andava, eppure ogni famiglia aveva un suo gusto unico, che un dipendeva mica dalla marca, era più figlio di un’atmosfera, di una cucina screziata di sole o di una terrazza in cotto dell’Impruneta, di un servito di tazze a fiori col labbro fine, piuttosto che di uno giallo anticato a bordo grosso.
Il sapore di quel caffè, le chiacchiere, le battute sempliciotte, sempre le stesse  e sempre gradite, i sorrisi, i complimenti alla tovaglia nuova, l’ultima barzelletta sconcia di Benito, il venticello geloso che s’infilava dalle portefinestre e il rumore lontanissimo delle preoccupazioni, comprimevano il succo stesso della vita in dieci intensi minuti.
«L’è passato».
«O indò l’è andato?»
Risate.
Il caffè che passa, la zuccheriera che fa il giro della tavola, la Giovanna con i suoi tre cucchiaini, l'Itala che lo piglia amaro e la Piera che vuole il primo perché è più leggero.
E poi c’era la Norma, il più bono era il suo. Un c’era dubbi. Il figliolo zibo lo versava nelle tazze e un parlava mai, mentre la Norma, per la centomilionesima volta, spiegava il suo trucchetto mostrandoci uno stuzzicadenti.
«Quando vu avete pigiato la polvere nel cosino, vu pigliate uno stecchino e vu fate dei buchini così» e faceva il gesto «di modo che quando passa l’acqua a bollore s’insapora di più e il caffè vien meglio».
E si sentiva schiccherare i cucchiaini, la televisione era spenta, e il telefono, dimenticato di là e fisso, a mille miglia da noi, nell’ombra fredda dell’andito.
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Il testo partecipa all'EDS ipogeusia da un'idea de La Donna Camèl come anche:
Sarde a baccaficu - Dario

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