Ha suscitato grande scandalo la pubblicazione in rete dello scontrino emesso dallo storico Caffè Lavena di Venezia per l’ammontare di 100 euro per quattro caffè, tre amari e As time goes by per piano e violini. E dire che c’era invece da aspettarsi sorpreso scalpore per l’emissione stessa dello scontrino in assenza della Guardia di Finanza ad intermittenza. E forse anche riprovazione che la denuncia del sopruso commesso contro i visitatori della ex Serenissima, il turismo e l’immagine della nazione, si sia limitata al tribunale della rete, invece di aver seguito canali e procedure “regolari”, per non dire doverosi: vigili, carabinieri e magari anche musicofili e appassionati per perseguire gli abusi dell’orchestrina ai danni della buona musica.
Come scriveva Hemingway, gli antichi masegni della piazza ne hanno viste tante e non si saranno sdegnati, così come non si saranno stupiti tutti quelli che hanno ceduto alla tentazione di sedersi a bere un caffè in piazzetta a Capri, al Pantheon a Roma, da Demel a Vienna , nel bar dei Giardini del Lussemburgo, per assaporare lo spirito del tempo e della memoria, fare irruzione in un film, essere catapultati in un dagherrotipo, perdersi tra le pagine di un romanzo.
Ma pare sia preferibile, forse per via del liquido nel quale siamo costretti a galleggiare, stare in superficie, preoccuparsi dei particolari, soprattutto quelli rivelati e resi evidenti ad arte, per distrarre e ipnotizzare, distogliere lo sguardo da pali in favore di pagliuzze, magari con contorno musicale.
Si, viene meglio esprimere biasimo per un’immagine nazionale compromessa per un conto esoso in un salotto del mondo, piuttosto che per la possibilità che quello stesso sito celebrato nei secoli e in tutto il mondo sia vulnerato dal passaggio minaccioso e oltraggioso di smisurate imbarcazioni, dalle quali scendono incolonnate teorie di turisti indifferenti che evitano perfino l’acquisto di un caffè al banco. O piuttosto che per quello che sta dietro alle orrende e rischiose sagome delle maxi-navi: l’ostentata determinazione di un ceto dirigente locale e nazionale di assoggettarsi e mettersi al servizio delle multinazionali del turismo intensivo, quello usa e getta, consuma e dimentica, offrendo storia, bellezza, arte e memoria e beni comuni all’ingiuria e alla prepotenza, in cambio di chissà quali benefici privati.
Eh si succede di sentirsi disonorati per quello scontrino rapace, che lede l’apparenza e la credibilità del paese più del quotidiano aggiornamento del catalogo di umilianti furti e furtarelli ai danni della collettività, commessi da uomini pubblici, più della pratica della corruzione che compromette il regolare svolgersi di gare e appalti internazionali, penalizzando concorrenza e competitività. Ferisce l’offesa al buon nome del paese e all’artistico contesto della Piazza, quell’espediente furbetto di caricare il conto con la voce “musica” molto più dei bronzi di Riace coricati nell’atrio della Regione Calabria, del 75% di Pompei inaccessibile ai visitatori, più dell’orrenda puzza non identificabile di pesci morti nei canali, compreso il Canal Grande.
Certamente fa male alla visibilità perché appunto si vede, più di quello che succederebbe a un malcapitato viaggiatore in un pronto soccorso, o davanti ai cumuli di rifiuti davanti alla Reggia di Caserta, o sulla Napoli Reggio Calabria, o in treno nell’unica nevicata annuale.
E poi, diciamolo, far pagare così tanto le perfomance dell’orchestrina è davvero scandaloso. In fondo mica si trattava del duo Berlusconi- Apicella, quello si, celebrato in tutto il mondo.