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Caffelatte.

Creato il 27 gennaio 2011 da Enricobo2
Caffelatte. Accidenti se ci siamo abituati bene. Voglio fare una pubblica confessione, poi se mi giudicate colpevole mi dimetterò. L'altro giorno sono andato a comprare la frutta dove andiamo di solito, una specie di supermercato specializzato che a poco a poco sta uccidento tutti i piccoli fruttaroli di un tempo grazie ad una scelta grande ed a prezzi per tutte le tasche. Ce l'ho in simpatia anche perchè non offre niente di "naturale" o "sedicente "biologico". Ma non è qui che voglio andare a parare. Bombardato dal flusso mediatico del chilometro zero, ho girato qua e là per ispirarmi tra montagne di arance e clementine, interi cassoni (si chiamano "beans" per i tecnologicamente informati) di mele di quattro diverse varietà, kiwi e altre frutti di stagione in quantità all'apparenza illimitata, per non parlar delle verdure ed ho riscontrato con orrore che papaie e manghi erano finiti.
Mi sono davvero irritato perchè, vi dirò la verità, ci ero quasi andato apposta e mi pregustavo questa sera di affettarmi di gusto quelle belle e carnose fette di mango maturo profumatissimo (lì hanno quello meraviglioso, il brasiliano coraçaõ de boy, una vera delizia) e di affondarmi il cucchiaino nella mezza papaya (laggiù la chiamano mamaõ, che nome sensuale! lo credo che le brasiliane sono così gettonate) mondata dei suoi semini neri, dopo averne riempito la cavità rimasta con una cremina ottenuta frullandone l'altra metà con rum e lime con qualche scaglia di cioccolata amara sopra. Sì, sì, me ne son tornato a casa davvero irritato. Adesso son qua che sto riordinando le vecchie foto di quando ero bambino, in fondo sono passati solo cinquanta anni, forse è per questo che molti ricordi rimangono così vividi.
C'è sempre tenerezza a ricordare il passato. Eravamo lì alla sera, attorno al grande tavolo della cucina, ascoltavamo la radio aspettando mio papà ferroviere che tornava a casa avendo finito il turno pomeridiano. Doveva allargare bene la porta per fare entrare la bicicletta, che stava in casa davanti alla macchina da cucire, ben protetta dai furti. Eppure allora non c'erano né zingari, né extracomunitari, però di biciclette gliene avevano già rubata una e ci stava attento, essendo l'unico mezzo di locomozione familiare. Così cominciava la cena. La mia mamma toglieva il bricco dalla stufa che mi stava dietro e serviva a me e a mio papà il caffelatte in una grande tazza dal bordo marrone. Mi girava anche lo zucchero: "űn cűgiar sul che se no 't ven la diabete". Da un pacchetto grande mi tirava fuori tre Biscotti della salute, che qui chiamavano i cruciòn, che tuffavo nel tazzone fino ad imbibirli al punto che una parte si staccava e cadeva rovinosamente nel latte stesso schizzando intorno.
Ma non venivo mai rimproverato per questo. Avevano un gusto confortevole, forse al fondo un leggero sentore di anice che non so meglio definire, ma che ho ben chiaro nel ricordo. Il bordo più consistente che si frangeva in bocca, la spessa polpa porosa imbevuta che sembrava saziare. La cena finiva lì, eppure ero già un bimbo, diciamo così grassoccio. I nutrienti necessari non sono poi molti. Non ho più sentito quel profumo, è vero che ci manca sempre qualcosa. Ieri mi sono consolato con un pomello, un delizioso agrume thailandese con enormi spicchi carnosi, che ti riempiono la bocca di fantastico mix dolceamaro di pompelmo e di terre lontane. Si fa una gran fatica a sbucciarlo però, accidenti a lui. E comunque tutto questo non prova nulla, non accanitevi contro di me che tanto non mi dimetto.
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