Magazine Cultura
Cagliari: salva la necropoli di Tuvixeddu
di Saverio Malatesta
Ogni tanto, nel sempre più desolante panorama dei beni culturali italiani, c’è qualche buona notizia. Il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza che dovrebbe porre definitivamente fine sull’ennesima annosa questione che interessa il patrimonio storico del nostro Paese: accettando il ricorso presentato dalla Regione Sardegna e dall’associazione Italia Nostra, l’organo giudiziario ha confermato i vincoli su una delle aree archeologiche più importanti dell’isola e del Mediterraneo, evitandone la distruzione a favore del solito complesso panoramico residenziale.
Occupando l’omonimo colle e parte del vicino rilievo di Tuvumannu, all’interno della città di Cagliari, quella di Tuvixeddu è la più estesa necropoli fenicio-punica sinora rinvenuta, ed anche una delle più ignorate. Fino agli Anni Ottanta, infatti, la ditta Italcementi gestiva una cava che interessava proprie le suddette alture, causando la distruzione di un numero imprecisato di sepolture; solo tardivamente venne chiusa, e solamente con la giunta regionale presieduta da Renato Soru furono imposti vincoli atti alla sua protezione, in funzione di una futura creazione di un parco archeologico che preservasse tanto le testimonianze storiche, quanto il suggestivo ed aspro paesaggio in cui sono situate. Un accordo tra il Comune di Cagliari, da sempre favorevole alla lottizzazione, e la società costruttrice, aveva portato ad ignorare tali vincoli, ribaditi con forza dall’allora soprintendente, Fausto Martino, che cancellò i nullaosta concessi dall’amministrazione. Contro tale provvedimento si ricorse al Tar del Lazio, che diede ragione ai costruttori: il progetto prevedeva di edificare un complesso di ben 260 mila metri cubi di cemento, in una zona già martoriata da altre deturpazioni simili, come quando, nel 2000, ben quattrocento sepolture furono distrutte, dopo esser state studiate e catalogate, soltanto per costruire le fondazioni di alcuni edifici.
Fortunatamente – ed il fatto che appaia una fortuna indica in quale stato il nostro patrimonio sia ridotto – il Consiglio di Stato ha capovolto la sentenza, esprimendosi a favore della tutela, e ribadendo che un’area già interessata da edificazione non per questo deve essere ulteriormente deturpata da nuove costruzioni: un principio che potrebbe essere applicato anche ad altri siti archeologici e paesaggistici, costantemente minacciati dall’avanzata inarrestabile del cemento. Sembra retorica, ma annualmente, in Italia, ben cinquecento chilometri quadrati di territorio scompaiono sotto il grigio del calcestruzzo.
Questa volta, però, l’orda cementizia è stata, temporaneamente, arrestata. Almeno a Tuvixeddu.
Fonti: http://tg24.sky.it/tag/tg24/tuvixeddu_1.html
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/02/una-colata-di-cemento-assedia-la-necropoli.html
L'immagine dell'area centrale della necropoli di Tuvixeddu, vista dall’alto è tratta da www.Repubblica.it
Per dovere di cronaca aggiungo un articolo che pubblicai qualche mese fa.
La necropoli di Tuvixeddu è la più grande necropoli fenicio-punica ancora esistente. Si estende all'interno della città di Cagliari, su tutto il colle omonimo, ed è compresa fra il rione cresciuto lungo il viale Sant'Avendrace e quello di via Is Maglias.
Il nome tuvixeddu significa “colle dei piccoli fori", dal termine sardo tuvu per "cavità", dovuto proprio alla presenza delle numerose tombe scavate nella roccia calcarea.
Tra il VI ed il III a.C. i Cartaginesi scelsero il colle per seppellirvi i loro morti: tali sepolture erano raggiungibili attraverso un pozzo scavato interamente nella roccia calcarea e profondo dai due metri e mezzo sino a undici metri. All'interno del pozzo una piccola apertura introduceva alla camera funeraria o cella sepolcrale. Le camere funerarie erano finemente decorate, e sono state trovate all'interno anfore altrettanto decorate; inoltre sono state rinvenute delle ampolle dove si mettevano delle essenze profumate. Alle pendici del colle di Tuvixeddu si trova anche una necropoli romana, che si affacciava sulla strada che, all'uscita della città, diventava la a Karalibus Turrem (oggi il viale Sant'Avendrace). La necropoli romana è prevalentemente composta da tombe ad arcosolio e colombari.
Di particolare interesse, tra le tombe puniche, la Tomba dell'Ureo e la Tomba del Combattente, decorate con palme e maschere tuttora ben conservate. Dopo la distruzione della città di Santa Igia intorno al 1200 da parte dei Pisani, i superstiti si stanziarono nell'attuale viale Sant'Avendrace, alle pendici del colle: così buona parte delle case si addossarono a Tuvixeddu, utilizzando ognuna di queste un accesso alle grotte. Ancora oggi, in caso di demolizione delle vecchie case del quartiere spesso si trovano grotte con evidenti segni di uso abitativo (alcune grotte riutilizzate a scopo abitativo si possono vedere dietro al Siotto).
Il colle di Tuvixeddu non venne mai valorizzato, e nel XX secolo divenne la cava di una cementeria dell'Italcementi, che ne ha terminato l'estrazione solamente negli anni ottanta. Così con i lavori di cava molte tombe andarono irrimediabilmente distrutte, anche se ne vennero trovate altre. Inoltre durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale le grotte vennero usate dagli abitanti della zona come rifugi antiaerei, e i più anziani le usarono come abitazioni per non dover correre ogni volta nel colle. Nell'immediato dopoguerra vennero abitate da chi aveva perso la casa durante i bombardamenti. Nel colle della cementeria oggi rimane soltanto la torre per la fabbricazione della calce e un capannone che si trova accanto alla nuova ala della scuola media intitolata al canonico Giovanni Spano.
Vi si vorrebbe realizzare un grande parco archeologico e naturalistico, all'interno del quale è prevista anche la costruzione di un museo che conservi i reperti e la storia del colle, anche se alcune imprese edilizie stanno realizzando numerosi interventi edilizi residenziali nella via Is Maglias, area interessata a ricerca archeologica dopo l'accordo del 2000 fra regione, comune e privati.
Fonte: Archeorivista
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