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C'è una strana legge che gira in quel di Hollywood: se sei bella, e devi farti prendere sul serio, imbruttisciti.
Da Charlize Theron a Nicole Kidman (prima che ci pensasse il botulino), le attrici abituate al ruolo di pheega, per passare al dramma più sentito, si sono fatte mettere nasi posticci, sono ingrassate, sono state rese sfatte da ore e ore di trucco.
Lo stesso destino ha scelto di avere anche Jennifer Aniston, la per sempre Rachel, una che non è la classica bellezza, che sa essere bella anche con i suoi difetti e che soprattutto riesce nell'arduo compito di essere simpatica.
Ora però, Jennifer che ha conquistato la stima di tutti quelli che non sono certo parte del #teamAngelina, ha deciso di dare una svolta alla sua carriera, mettere da parte le commedie, anche quelle più scollacciate, e farci vedere quello che sa davvero fare: recitare.
Il ruolo prescelto non è certo dei più semplici, è quello di una donna depressa ma prima di tutto arrabbiata, con un trauma passato che capiremo man mano, con un carattere difficile, che non si vuole piegare, né all'oggi né al dolore.
Per entrare nei panni dell'ex avvocato Claire, va da sé, Jennifer si è imbruttita.
Perchè Claire ha subito un grave incidente, i cui segni si vedono sia nel suo viso e nel suo corpo costellati da profonde cicatrici, che nel nel suo interno, incapace di abbandonarsi, di fermarsi come di andare avanti.
Nemmeno il gruppo di sostegno per il dolore cronico la accetta, la sbatte fuori per quel suo carattere instabile che non aiuta gli altri membri, che non ha aiutato certo Nina a cambiare idea di fronte ad un suicidio che ha lasciato un marito arrabbiato e un figlio traumatizzato alle spalle.
Il suicidio diventa così un'ossessione per Claire, che conoscerà quel marito, che ci proverà a farla finita, per mettere a tacere quel male che ormai nemmeno le pillole e l'alcool sanno fermare.
E sembra non bastare la buona volontà, la cura che una colf messicana si prende per lei, non basta quella nuova amicizia che nasce o quella torta tanto desiderata.
E le cadute, si fanno più pesanti delle salite.
Era una scommessa difficile quella che Jennifer Aniston ha giocato con se stessa: abbandonare un ruolo che continua a darle successo, mettere da parte la sua bellezza che a 40 anni sembra fiorire nuovamente, mostrarsi sfatta, imbruttita, segnata, con un carattere altrettanto difficile,
E senza girarci troppo attorno, la scommessa Jennifer l'ha vinta.
Perchè la sua Claire riesce ad essere credibile, riesce a divertire, urtare, spazientire e immedesimare, non cadendo nel classico cliché della bisbetica da domare o nel potere salvifico dell'amore.
Claire non cerca l'amore, non cerca nemmeno il sesso, cerca un equilibrio che a volte arriva anche solo con qualcuno che ti accompagna a dormire, quasi dovesse tenere a bada incubi e demoni.
In questo ritratto di donna arrabbiata il cui dolore non fa dimenticare nemmeno per un istante quel passato che si vorrebbe cancellare, c'è spazio per tanti e bei personaggi secondari, a partire da quella colf, così tenera e così remissiva, forte invece forse più di Claire stessa.
La si ama, Silvana, senza se e senza ma.
Ma nella confusionaria vita che è quella di Claire, tra un grugnito, un urlo e una battuta acida, c'è spazio anche per un ex marito che non si odia, per un vedovo che la capisce (interpretato da un bravo Sam Worthington), per un'aspirante attrice nonostante tutto dal cuore d'oro, e per una suicida che la tenta, che le fa da coscienza.
Questo ritratto diventa così un film complesso che sta in bilico tra film del dolore e film verità, raccontando un dramma senza bisogno di scendere in particolari, anzi, senza mai mostrarci quel dramma ma solo quello che ne è venuto dopo.
In un finale non certo buonista, ma giusto e toccante e in linea con quanto costruito, Cake dimostra non solo tutta la bravura di una Jennifer Aniston ora ancora più bella, ma anche che la redenzione, l'espiazione, non nasce con gli altri, ma solo con noi stessi, e la nostra forza di reagire, di scattare finalmente in avanti.
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