CAKE (Daniel Barnz 2014)
Voto complessivo: 6 politico
*termine che indica un genere preciso nella cinematografica anglofona, che potremmo tradurre nel corrispettivo italiano della "tragicommedia". La recitazione e le situazioni sono spesso brillanti, ma il contesto è molto drammatico.
Il film inizia proprio con la notizia che una dei membri, una certa Nina (Anna Kendrick), si è suicidata. Con pungente sarcasmo Claire smorza i toni eccessivamente sentimentali delle colleghe sottolineando che il suicidio è uno schifo da egocentrici specie se ti butti da un ponte sull'autostrada che porta a Tijuana, rendendo le cose estremamente difficili ai parenti. Questa scena iniziale è efficace perché Aniston mette in atto le sue naturali doti di commediante in un contesto drammatico, rendendo pregnante la scena e risultando simpatica. Peccato che le premesse di questo piccolo film indipendente molto presto vengano smentite dalle classiche scene-madre di crisi e pianto che danno alla Aniston la possibilità di offrirci un vasto repertorio di espressioni comunque superficiali.
Sulla superficie della sua pelle non più giovanissima c'è un trucco da "incidentata" che dunque inficia tutta la performance dell'attrice di Friends. Così come rimane in superficie il regista Barnz, che assomiglia incredibilmente a Chris Messina, l'attore che interpreta l'ex marito di Claire (sarà solo un caso?). La note buone del film sono l'ormai star messicana Adriana Barraza, già vista nel capolavoro di Inarritu, Babel, qui nel ruolo della simpatica e benevola domestica Silvana, e Sam Worthington in un ruolo quasi materno e femminile, trovandosi nei panni di un padre vedovo che deve occuparsi di un bambino piccolo. Il fantasma della suicida è, dopo il vano tentativo di ricevere una nomination agli Oscar da parte della Aniston, la seconda cosa più triste del film. Una pellicola che procede fiaccamente verso il suo finale, senza mai volare nonostante lo facciano la suicida e la Aniston in sogno. E invece pesa terribilmente persino sul pubblico più paziente, fino a tramortirlo con il finale melenso con quel sedile della macchina che si rialza, come segno metaforico di guarigione. Iniziava originale, finiva banale. Peccato, soprattutto per quelle ottime soggettive-squarci fuori dal finestrino della macchina e giù dal ponte.
La grandissima Adriana Barraza