Nel tardo pomeriggio di ieri si è cominciato a scrivere la parola fine su uno dei capitoli più tristi e controversi del calcio italiano; dopo ben 6 anni di accuse reciproche e tentativi di difesa basati più sul sospetto e sulle sensazioni che su prove concrete, sono arrivate le sentenze in primo grado per i 16 imputati del caso Calciopoli, il processo che ha trascinato il nostro calcio nella vergogna e che ha rischiato di oscurare la nostra quarta vittoria ai mondiali di Germania.
Il Tribunale di Napoli, nella persona del presidente Teresa Casoria, ha deciso per la colpevolezza di tutti e sedici gli imputati che sono stati condannati per frode sportiva con condanne diversificate a seconda della gravità del reato commesso; spiccano tra tutte le sentenze per l’ex amministratore delegato Juventus Luciano Moggi (5 anni e 4 mesi),l’ex vicepresidente FIGC Innocenzo Mazzini (2 anni e 2 mesi), gli ex designatori arbitrali Paolo Bergamo (3 anni e 8 mesi) e Pierluigi Pairetto (1 anno e 11 mesi), gli ex arbitri Massimo De Santis (1 anno e 11 mesi) e Salvatore Racalbuto (1 anno e 8 mesi), l’attuale presidente della Lazio Claudio Lotito (1 anno e 3 mesi e 25mila euro di multa), gli attuali presidenti della Fiorentina Andrea e Diego Della Valle (1 anno e 3 mesi più 25mila euro di multa) e l’ex dirigente del settore arbitri del Milan Leonardo Meani (1 anno e 25mila euro di multa).
A tutti gli imputati è inoltre interdetto l’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive e si effettuano scommesse ed è stato anche diramato un divieto di accesso per gli uffici amministrativi delle società sportive per la durata di tre anni ad eccezione dei casi particolari di Paolo Bergamo e di Luciano Moggi per cui questo periodo è stato prolungato rispettivamente a 5 anni, per l’ex arbitro, e per sempre per l’ex dirigente bianconero.
Tutte queste descritte sono però sentenze in primo grado: cosa vuol dire?
Ciò significa che certamente gli imputati ricorreranno in appello nella speranza di addivenire a modificazione in melius della sentenza stessa, ciò sulla base del presupposto che nel diritto processuale esiste un principio cardine (divieto di reformatio in peius) che non consente, una volta richiesto appello dal condannato in primo grado, di ricevere in secondo grado una sentenza peggiorativa delle condizioni imposte nella prima ma, con ciò permettendogli la possibilità di agire sulle prove e gli elementi di diritto già acquisiti in fase preliminare e poi durante il processo di primo grado – quindi non è possibile introdurre nuovi elementi se non in casi del tutto eccezionali e limitati- in maniera tale da tentar di alleggerire o ribaltare le risultanze stabilite in precedenza dal giudice.
Ricordiamo poi che la sentenza d’appello è una sentenza che acquisice efficacia di giudicato (cioè diviene esecutiva) se non è oggetto ,entro i termini e nei modi espressamente previsti dal codice di procedura penale e da eventuali leggi speciali, di ricorso per Cassazione, ricorso che però non è strutturabile sul merito,cioè sul contenuto della sentenza, ma bensì su elementi di diritto o di rito ritenuti mancanti o inadeguatamente applicati dalla controparte (i Pubblici Ministeri) o dal giudice d’Appello o di primo Grado stessi ed in caso di parere favorevole della cassazione, in tali ipotesi questa può rinviare gli atti ad un ufficio giudice del grado pari a quello presso cuie è stato commesso l’errore ,ma designandone uno fisicamente diverso da quello difronte al quale si è verificata la mancanza di diritto o di rito.
In parole povere quello che Luciano Moggi e gli altri condannati quasi sicuramente faranno, attraverso i proprio legali, è di richiedere una revisione della sentenza appena descritta con la sicurezza di non aumentare la condanna: questo dilaterà ancora i tempi di chiusura per questa incresciosa vicenda.
Una vicenda che pur nella sua bruttezza era inevitabile e, in un certo qual senso, necessaria per portare alla luce tutta una rete di contatti tra le società, la federazione e l’associazione degli arbitri; una pessima abitudine, consentitemi di dire, quella di pararsi il culo a prescindere dal risultato in campo, quella di accordarsi su chi debba retrocedere e chi no, quella di telefonare ai designatori arbitrali lamentandosi per l’operato di un direttore di gara o per sottolineare la bravura di un altro.
Per queste ultime cose che ho scritto non sono state emesse sentenze, e forse mai ne saranno emesse ma, ogni tifoso in Italia deve capire che non esistono squadre pulite e squadre sporche, esistono solo forti interessi,soprattutto di tipo economico, che nessuna passione, nessun gioco e nessun dirigente riuscirà mai a metabolizzare senza farsi da loro dominare.
Siano i risultati delle partite, i falsi in bilancio o le acquisizioni di giocatori con passaporto falso nel complesso tutti i club devono fare i conti con piccoli sotterfugi ai limiti dei regolamenti.
Quello che purtroppo non finirà mai è il gusto tutto italiano per la dietrologia e per la ricerca del complotto ogni volta che qualcosa non va nel verso giusto: un rigore non dato, o dato con eccessiva abnegazione, basta a far scattare un coro di lamenti che gridano alla congiura.
Volete un esempio: ve lo servo facile facile.
Nell’ultimo Inter-Juventus, match già di per se surriscaldato emotivamente dalla poca professionalità del rampollo Agnelli davanti alle telecamere, non viene dato un rigore alla Juve per fallo di Julio Cesar su Marchisio: il rigore ci poteva stare ma non era così solare come molti hanno detto poichè il centrocampista bianconero riesce a stoppare ed a calciare prima di prodursi in una piroetta esagerata che porta al contatto con l’estremo difensore dell’Inter.
E’ bastato questo episodio, dopo ben 4 rigori fasulli fischiati contro i nerazzurri e quasi dimenticati, a far scattare la polemica della società bianconera, a far gridare al complotto anti-Juve, allo scandalo clamoroso. E’ come se chi vince lo debba fare per forza rubando e chi subisce un errore dell’arbitro, che comunque è fallibile in quanto essere umano, deve sempre pensare che qualcuno stia macchinando alle sue spalle.
Forse il vero male che Calciopoli ha lasciato in eredità al Calcio è stato quello di vedere ombre anche dove non ce ne sono, di scorgere un inganno laddove c’è solo un errore di un uomo, errore che secondo me andrebbe punito a dovere ma, pur sempre una semplice decisione che per colmo di sfortuna è quella sbagliata.
Chi può onestamente dire di non sbagliare mai?
PS: mi corre l’obbligo di ringraziare il collaboratore Guglielmo Pacetto per la consulenza offerta nella spiegazione tecnica dell’iter processuale (la parte che vedete in corsivo)