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Impossibile non recuperare Il Caso Kerenes; Orso D’Oro a Berlino 2013, conferma la qualità del nuovo cinema romeno (precisamente Noul Val, se vogliamo la nouvelle vague dei Carpazi), che trova nei suoi maggiori esponenti oltre ai pluripremiati Mungiu e Porumboiu (quello di A Est di Bucarest) proprio lo stesso Netzer. Un cinema che riscatta un paese da troppo tempo in sonno, e in attesa di riscoperte che corrispondano a una più attenta e giustificata rivalutazione.
Bucharest. Cornelia appartiene all’alta borghesia romena ed è una donna maniaca del controllo. Tutte le sue forze hanno come comune obiettivo il benessere (o almeno quello che la donna, nella sua logica distorta, reputa essere il benessere), dell’unico figlio Barbu. Le sue attenzioni per Barbu sono così estreme da sfiorare l’incesto; ormai il figlio ha superato i trent’anni e finalmente sta per formare una famiglia sua. Cornelia è conscia di stare mollando la presa, vede perdere l’influenza opprimente che ha su di lui. Ma quando Barbu uccide un bambino (di ceto sociale “inferiore”) investendolo, ecco che si ripresenta l’occasione per la donna di riappropriarsi della vita del figlio, di tirarlo nuovamente a sé.
Guardando il film di Netzer, la mente parte nella direzione di Farhadi (il Maestro mi piace troppo, lo ammetto) piuttosto che dei colleghi romeni. Netzer come Farhadi sfrutta la vicenda familiare/privata, anzi questa volta addirittura personale (come ha dichiarato lo stesso regista) allo scopo di pervenire a un più ampio fronte di analisi sociale. Così, sfruttando vie più incisive di quelle che potevano scaturire da uno sterile pamphlet, il regista traccia uno scenario desolante con efficacia spietata. Il panorama che emerge non è molto distante e anzi sembra un presagio catastrofico del nostro, segnato nettamente da due classi sociali il cui divario sembra estendersi fino a diventare sempre più incolmabile. Una cosa del genere accadeva in Una Separazione, anche se nella pellicola iraniana il divario appariva più profondo, poichè tendeva a premere altri delicati tasti (religione e pregiudizio) insiti nella società del paese mediorientale. Ne Il Caso Kerenes a fare la differenza è, dalla prima all’ultima inquadratura, il Denaro, e il Potere che esso procura. L’uccisione del bambino è solo un intoppo nella vita di Barbu, già segnata e accuratamente pianificata nel dettaglio dalla madre. Barbu è la creatura di Cornelia (e la canzone sulla quale balla all’inizio la donna, Meravigliosa Creatura, è, a posteriori, un dettaglio non da poco) la sua ragione di vita, la sua realizzazione incarnata che nulla, nemmeno un omicidio, può ostacolare. Le conseguenze della sua “educazione” sono devastanti; Barbu è un uomo castrato: debole, indeciso, schiavo dei farmaci, incapace di portare avanti alcuna relazione.
La regia di Netzer, che apparentemente sembra non perdere mai il controllo, non uscire mai da confini già tracciati (la messa in scena riflette forse il contenuto oppressivo del film?), in realtà si innerva agitata nelle fondamenta da scosse telluriche, palesi in quei movimenti di macchina nervosi ed epilettici; così Netzer vorrebbe rimanere “freddo” nella sua esposizione ma in alcuni momenti di incontinenza rabbiosa rivela le sue carte, quando esplode in aggressioni velenose nei confronti dell’ipocrisia di quella classe dirigente che, presa dai suoi party, se ne sbatte di un ragazzino ammazzato per strada. Nel suo incedere sembra spesso perdersi in lungaggini ed eccessive descrizioni, ma si realizza infine l’intenzione volta a preparare lo spettatore a un finale magnifico, in cui la recitazione ipocrita di Cornelia viene seppellita dalla concretezza reale del dolore di una famiglia distrutta, che piegano la “donna di ferro” in un dolore indescrivibile; è il crollo definitivo della sua armatura, Cornelia rimane disperatamente senza difese; Netzer rappresenta, all’apice del film, una delle scene più struggenti dell’anno, forte di tensione altissima, la cui rottura, al calare del buio nei titoli di coda, provoca un impatto emotivo impareggiabile; in un film italiano sarebbe stato melodramma e pianti a dirotto, grida e botte: registi italiani, prendete appunti. Qui sta la diversità per cui l’autore è davvero da tenere d’occhio: se nella cinematografia romena appartenente ai nomi prima citati pareva che lo scopo fosse di allontanare un passato scomodo e ingombrante, è chiaro invece che Netzer si pone come attivo regista del presente.
Stefano Uboldi
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