Calixthe Beyala è nata in Camerun nel 1961 ma la sua formazione culturale possiamo dire che è francese.
Infatti, giovanissima, è arrivata nel paese dei Lumi e lì ha completato i suoi studi e frequentato l’università, laureandosi in materie letterarie.
Subito dopo ha iniziato a scrivere e non sono pochi i romanzi ,che ha sfornato nel giro di pochissimi anni, alcuni dei quali apprezzati e tradotti anche in Italia.
Mi è capitato tra le mani, mettendo ordine nello scaffale della mia libreria,”Gli alberi ne parlano ancora”,un testo edito inizialmente da Epoché e, successivamente, anche dalla Feltrinelli, e ho piacere di segnalarlo in quanto, per chi s’interessa all’Africa, è un interessante spaccato del colonialismo militare e culturale sia tedesco che francese in Camerun.
Con il pregio per di più, non trascurabile (siamo in estate) di una lettura agevole.
Il dilemma, se qualcuno ancora se lo ponesse, e cioè se c’è un ”colonialismo buono” e/o un “colonialismo cattivo”, nel racconto della Beyala, non regge più, diciamo che non sta affatto in piedi e fuga ,per sempre, ogni possibile dubbio anche perché a parlarne di questa esperienza storica (i personaggi delle storie narrate dalla scrittrice) sono proprio coloro, che l’hanno vissuto e pesantemente, facendone molto spesso anche cattive spese.
Infatti,all’interno di una narrazione di per sé agevole nel succedersi delle sequenze dei differenti capitoli, non mancano, a tratti, anche momenti di puro grottesco, pari al classico pugno nello stomaco, che non ti aspetti..
Lo spazio geografico del contesto narrativo è un villaggio del Camerun con una varietà di tipi umani, che catturano tutti l’attenzione del lettore o per la propria serietà d’intenti oppure per la bizzarria la più estrosa possibile.
Il punto di vista è quello di una bambina, all’epoca, per altro figlia di un capo-villaggio, oggi ormai centenaria e lontana dalla sua terra, che ricorda e racconta.
E nel racconto il “filo rosso” è quello, quasi scontato, dell’incontro- scontro tra tradizione e modernità su cui si articola tutta la “scrittura”.
Come è altrettanto lapalissiano e si evince dall’intera narrazione il perché, ancora oggi,terminato un certo tipo di colonialismo, gli africani guardino, e sempre con sospetto, l’uomo bianco.
Pregio del romanzo della Beyala è tuttavia , in prevalenza, la brillantezza avvincente della sua prosa, che cattura dalla prima all’ultima pagina.
Per me un ripescaggio felice.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)