Stormy Monday è uno dei grandi classici del blues, eseguita per la prima volta nel 1949 da T-Bone Walker, divenne uno dei campi di interpretazione, sviluppo e sperimentazione da parte dei migliori musicisti blues. Delle tante disponibili sul web ne ho scelte tre: la prima, quella che, paradossalmente, mi viene in mente per prima quando penso al “tempestoso lunedì”, interpretata magnificamente dagli Allman Brothers Band nel mitico concerto del Fillmore East nel ’71. Ascoltatela, io ci vedo dentro sentimento, passione, violenza, quanto forse nessun altro è riuscito a tirar fuori da questo brano.
Segue la versione di T-Bone Walker, molto più corta, rudimentale, in cui elemento d’assieme funge anche il silenzio tra una sezione d’accordo e l’altra, tra gli assoli, i boogie di piano, sempre ben calibrati a fungere da cornice alla voce del bluesman nero.
Ma dietro a Stormy Monday ruota anche il confronto tra diversi tipi di chitarre, tra le Gibson di Duane Allman (una Les Paul) e di T-Bone Walker (uno dei tanti modelli Es) e di seguito una versione di Eric Clapton con una delle sue fedeli Fender Stratocaster. La performance è tratta da un Pavarotti & Friends del 2003 e qui Slow Hand apre una nuova, affascinante parentesi, tra chi sostiene che la Fender sia più dolce della Gibson e chi viceversa, come il sottoscritto.
In questo brano vi si cimentò anche Hendrix, altro grande esponente del fenderismo. La eseguì almeno nel marzo 1968 durante un concerto al Café a Go Go di New York, performance poi pubblicata nel disco Blues At Midnight. Ma purtroppo, finora, non ho trovato reperti video sul web, salvo questo, in cui vi è una versione dello stesso anno eseguita da un indemoniato Buddy Guy, in cui la telecamera ogni tanto stacca su un incuriositissimo Hendrix seduto in prima fila. E chi avrà la voglia di ascoltarla, potrà sicuramente convenire di quanta sia stata l’influenza di Guy su Jimi, e di come quella Stormy Monday possa essere considerata la madre adottiva di Red House.
Per un approfondimento tecnico su Stormy Monday, leggete l’interessante articolo apparso lo scorso agosto sul sito Gibson.