Me li ricordo - come potrei dimenticare - quei neolaureati che scrivevano alle aziende quello che i dirigenti volevano leggere, con i loro cv perfetti, i percorsi di carriera tracciati con minuzia di dettagli, costruiti su previsioni di un futuro che non si è mai avverato. E tutte le loro informazioni sul mondo del lavoro, che sembrava quasi potessero manipolare. Lodavano l'avvento della new economy prima che vaste zone del suo corpo incancrenissero per divenire fossili precoci, ci catechizzavano su investimenti azionari sicuri e redditizi prima delle crisi di borsa a raffica, proclamavano il primato della finanza sull'industria, il lavoro, i prodotti, i servizi e le idee innovative prima che i trucchi e il marcio di quel mondo venissero a galla come escrementi dal fondo del mare.
E si arrampicavano - probabilmente lo fanno ancora - sulle pareti degli organigrammi, puntando i piedi su pioli di scale umane, ostinandosi a chiamarle "risorse" quando invece "mezzi" sarebbe stato più appropriato, nuotando come squali che divorano piccoli pesci nei fantozziani acquari privati di predatori più grandi e feroci di loro.
Oggi languono spesso in carriere statiche, stagnanti, stantie, sta-varie-altre-cose, annaspando nella melma aziendale che a poco a poco ha inghiottito le loro anime. Fingono di non aver mai fallito, evitando riferimenti al passato e avvolgendo il presente con un entusiasmo che ormai è soltanto un sacco per l'immondizia. Le loro frasi vuote a effetto non ci sorprendono più e finiscono soltanto per proclamare la calcificazione del loro approccio, così come il nostro sorriso - muto e assordante - dichiara semplicemente voglia di non infierire, non certo timore, riverenza o mancanza di coraggio.
Anni fa le nostre lettere sono state spesso ignorate, cestinate o passate al tritadocumenti. Non capivamo nemmeno i loro falsi consigli, confusi dalla nostra innocenza e abbagliati dalle loro fesserie tecnicistiche. A volte abbiamo ripiegato su lavori che magari non ci piacevano, ma si sa, qualcosa bisogna pur fare.
La nostra mancanza di preparazione e pianificazione ci ha resi vulnerabili alle calamità della precarietà, ma col tempo ci siamo adattati alle nuove condizioni, abbiamo imparato, fatto esperienza, siamo cresciuti. Da questo processo è nata così una nuova specie. In un mondo che divora oggi ciò che ieri sembrava fantascienza - inghiottendo, rigurgitando, ruminando, digerendo ed espellendo nuovi orizzonti a ritmi vertiginosi - ci siamo fatti spazio noi: i camaleonti paradigmatici.
Potremmo estinguerci prima ancora di trovare il nostro spazio nella biosfera del mercato. Ma non è detto, non è ancora detto. A differenza di loro abbiamo ancora qualche carta da giocare. E potete contarci: ce la giocheremo, qualcuno lo farà.