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Cambiare? Si può!

Da Psytornello @psytornello

Cambiamento

Ci piaccia o meno, siamo continuamente attraversati dal cambiamento. Nasciamo, diventiamo adulti, invecchiamo, ci ammaliamo, moriamo. Si rinnovano in ogni momento le nostre cellule e le connessioni cerebrali. Nel corso della nostra vita ci può capitare di cambiare amici, partner, corsi di studio, lavoro, città. Attraversiamo lutti, crisi, malattie ma anche successi, amore, fortune. Tutto questo ovviamente influisce sul nostro modo di pensare e sulla nostra struttura emotiva, cambiandoci. Ma, come si cambia?

“Sostanzialmente in due modi: in peggio o in meglio. Ottenere il primo risultato è facilissimo: non bisogna fare nulla, illudendosi così di fermare il cambiamento. Basta restare immobili nelle proprie abitudini e nei propri giudizi e lasciare che siano la vita o le scelte altrui a modificarci, rendendoci ogni giorno più inermi e incapaci di cogliere qualsiasi opportunità di miglioramento ci passi casualmente a fianco” spiega Bruno Bara, docente di Psicologia dell’Università di Torino. “E’ così semplice che almeno la metà dell’umanità pensa che stare male sia normale e non tenta neppure di alleviare la propria infelicità”.

Cosa significa cambiare in meglio? Evolversi in meglio, invece, è tutta un’altra faccenda. “Significa affrontare un cambiamento profondo, e perché questo avvenga ci saranno dei mutamenti a livello emotivo (come il mondo esterno impatta sul nostro mondo interno), cognitivo (come valutiamo quello che ci accade) e perfino fisico. In un certo senso, trasformarsi equivale a opporsi al disordine del mondo, scegliendo per se stessi una propria direzione: una fatica enorme” dice Bara. Questa difficoltà ad affrontare cambiamenti profondi è in un certo senso “giustificata” anche dalla struttura e dalla fisiologia dei neuroni che formano la rete nervosa del nostro cervello.  ”A livello neurale” spiega Marco Tamietto, ricercatore di psicobiologia e psicologia fisiologica dell’Università di Torino “il cambiamento, che nelle neuroscienze si definisce plasticità, è la norma. I nostri neuroni si attivano e creano nuove connessioni continuamente. Tuttavia, già verso i 10/15 anni, nel nostro cervello si sono creati dei percorsi preferenziali tra gruppi di neuroni connessi tra loro e che si attivano insieme: la “mappa” di questi percorsi in qualche modo rappresenta il nostro modo di pensare e soprattutto il nostro modo di sentire e interpretare la realtà attraverso le emozioni. Non è una geografia definitiva, e continuerà a evolversi. Ma si tratta comunque di una struttura che, in assenza di eventi traumatici oppure di una trasformazione attiva e consapevole si farà sempre più rigida nel tempo”.

Perché allora fare la fatica di cambiare? In realtà quando il percorso è iniziato, cioè quando il nostro cervello si rende conto che c’è qualcosa che non va nella nostra vita e che la possibilità di cambiarla è in mano nostra, difficilmente rinunciamo all’impresa. Il premio alla fine del processo, è che “funzioniamo” meglio, il nostro agire nella realtà diventa più efficace e, banalmente, saremo più felici di prima.

Un cambiamento così profondo è sempre indispensabile? Non sempre. Possiamo cambiare lavoro o affrontare un problema senza bisogno di attuare ogni volta su noi stessi una “ristrutturazione” totale. Ci riescono meglio le persone che sono più dotate di “elasticità mentale”, cioè della capacità di accogliere e rielaborare nuove idee e punti di vista. In realtà soltanto non possiamo sapere quando è necessaria una trasformazione così profonda. E lo sappiamo perché soffriamo. “E’ il corpo il primo a segnalare che qualcosa non va, solitamente con uno o più dei tanti sintomi legati allo stress, dal bruciore di stomaco al mal di testa” dice Bara. Il malessere corporeo è legato all’emergere di emozioni di “innesco”, che segnalano il bisogno di un impellente cambiamento nel modi di vivere. Perché la trasformazione si realizzi, tuttavia, è necessario che alle emozioni si aggiunga la consapevolezza cognitiva della sofferenza che si sta vivendo e, al contempo, della necessità di modificare il nostro agire sul mondo.

Tutti possiamo cambiare in positivo? “In generale sì. Il cervello è capace di riorganizzarsi persino intorno a un trauma come un danno fisico o una mutilazione. Il cambiamento è sempre una via percorribile. “L’idea che siamo per sempre inchiodati a un destino, alla genetica o a quello che abbiamo vissuto nella prima infanzia, è un retaggio ottocentesco. Il punto è che molte persone non vogliono cambiare perché sono affezionate al loro disagio, lo conoscono bene, ci sono abituate, non considerano più la possibilità di alleggerirsene. Cambiamento positivo, invece, vuol dire andare verso qualcosa di sconosciuto che in un certo senso fa paura” dice Bara.

Continua…

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 248 – Giugno 2013


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