Camminando verso Petra, in Giordania. Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran, con la quindicesima puntata.
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di Giorgio Càeran
Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)
(parte di un viaggio iniziato il 18 luglio 1992 e finito il 23 agosto 1992)
da Wikipedia
I duecentoquaranta chilometri che dall’aeroporto internazionale di Amman portano a sud verso Petra, tra il golfo di Aqaba e il Mar Morto, scorrono su un nastro d’asfalto attraverso un territorio semidesertico e desolato che mi ricorda alcuni panorami asiatici disposti al di qua del Khyber Pass. È venerdì 21 agosto 1992 e si continua senza scossoni nella monotona steppa, giungendo a Petra dopo quasi tre ore di viaggio.
Mia moglie ed io, dato che non abbiamo pagato il “tutto-compreso” (guida inclusa), ci stacchiamo subito dal gruppetto dei turisti e, dopo un po’ di confusione, durante la quale non si riesce a capire il da farsi, cambiamo 4 dollari statunitensi in 2,40 dinari giordani. Paghiamo un dinaro a testa l’accesso e iniziamo la nostra camminata in un singolare scenario di rocce rossastre. C’è tanta gente, essendo un giorno festivo. Per visitare la leggendaria città di pietra intagliata nelle rocce rosa di Wadi Musa, si può salire in groppa a cavalli sfarzosamente bardati, condotti a piedi dai beduini, ma noi preferiamo andare con le nostre gambe per assaporare in tutta calma quel che ci circonda.
Si cammina su una sabbia simile a quella delle spiagge, in un grosso polverone provocato dai numerosi cavalieri. L’enorme montagna rocciosa lascia spazio alla profonda gola del Bab el-Siq (letteralmente, “la porta della strettoia”), lunga un chilometro e mezzo, le cui pareti sono alte una cinquantina di metri e impediscono a volte la penetrazione della luce. Penso ai canyon dei Pellirosse d’America e adesso capisco come mai i Romani impiegarono due anni per averla vinta.
Pochi sono gli attimi di totale silenzio e molto spesso, invece, si nota un gran via vai di persone a piedi e di altre a cavallo. Vediamo tre monumenti funerari monolitici, tante piccole tombe scavate nella roccia, la tomba degli Obelischi (l’obelisco è un simbolo funerario molto comune presso i Nabatei) e il Triclinio di Bab el-Siq. Poi, d’improvviso, dove termina il Siq con il suo aspetto lunare, ecco apparire di fronte a noi la costruzione più maestosa e più bella fra gli oltre cinquecento monumenti scolpiti nella roccia. Si tratta della famosa tomba di El-Khazneh (chiamata anche Khaznet Phar’un, che significa “tesoro del Faraone”). La facciata è di trenta metri per quarantatré, ed è decorata con motivi architettonici e sculture rappresentanti divinità, animali e figure mitologiche. Questo bell’esempio d’architettura monumentale, da poco restaurato, è in buono stato di conservazione.
In seguito, si vedono altri grandi monumenti, anch’essi scolpiti nella roccia con tecnica prodigiosa (partendo dall’alto) dai Nabatei: nomadi e carovanieri provenienti da un territorio compreso fra l’Arabia settentrionale e la Siria meridionale. Numerose sono le nicchie, distribuite un po’ ovunque in uno spazio vasto, alcune delle quali sono tuttora abitate dai beduini Bdul, che da secoli vivono nella regione. Altri beduini vivono nelle loro tende fatte di lana di capra. Le montagne brulle tutto attorno avvolgono quella che fu la splendida e opulenta Petra, capitale dei Nabatei, costruita più di duemila anni fa. In questa “roccaforte senza mura di cinta” c’è anche un anfiteatro che aveva una capacità di settemila posti a sedere; c’è pure il letto asciutto di un fiume che sicuramente in quell’epoca era vivo e la sua acqua era un bene primario per la sussistenza di quella gente. Continuando, si cammina in una strada lastricata romano-nabatea, quindi si va verso l’arco trionfale e al recinto del tempio di Qasr el-Bint (la più importante costruzione in muratura del luogo, alta ventitré metri), che si trova nel centro della città, distante quattro chilometri dall’attuale ingresso per la visita di Petra (il cui nome antico, semitico, era Rekem).
Il cielo è azzurrissimo (mentre ad Amman era più smorzato e quasi biancastro) e il sole è ben caldo, a guardare verso le cime dei monumenti disseminati lungo il percorso si subisce un fastidioso effetto accecante: provvidenziali, in questo caso, sarebbero gli occhiali da sole. Tuttavia c’è da rimanere affascinati di fronte a costruzioni del genere, soprattutto pensando a quale alta ingegneria avevano questi popoli antichi; l’architettura cosmopolita e complessa, l’urbanistica raffinata, il sistema idrico efficientissimo, un brulichio festoso di diverse tonalità di colori e la spettacolare bellezza naturale del luogo fanno di Petra, città ricca dove regnarono pace e giustizia, una delle meraviglie del mondo classico e una testimonianza dell’abilità creativa di uno dei popoli arabi meno conosciuti e più industriosi. È l’ennesima dimostrazione che nell’antichità esistevano civiltà molto progredite e ingegnose, come pure i Sumeri, gli Egizi, i Cinesi, i Greci, i Romani, gli Aztechi, i Maya, gli Incas… e senza tirare in ballo gli onnipresenti “extraterrestri”. In ogni caso, nel secondo secolo dopo Cristo, le arti e l’architettura nabatee conobbero un importante e rinnovato impulso creativo, e furono impreziosite dall’incontro con le culture ellenistica e romana. Subito dopo però, assieme agli Arabi di Palmira loro alleati, i Romani assunsero il controllo delle nuove vie commerciali che passavano per la Siria, segnando così l’inizio del declino del regno nabateo.
Sulla strada del ritorno, Marika sale in groppa a un cavallo condotto da un beduino a piedi, accordandoci per un prezzo di tre dollari statunitensi. Se all’andata il percorso è in discesa, al ritorno si fatica un po’ di più. Facendoci largo tra cavalli, asini e dromedari estrosamente adornati, ripassiamo a ritroso quest’indimenticabile lezione di storia umana.
da Wikipedia
Dopo il Khazneh, ormai completamente ombreggiato, rieccoci nel Siq, la fenditura naturale nella montagna che i Nabatei usarono come vie d’accesso alla loro città. Poi il beduino fa scendere Marika da cavallo e non vuole sentire ragione di continuare. Questo purtroppo è un atteggiamento diffuso qui e fa parte della speculazione turistica giordana, che abbiamo notato sin dal nostro arrivo all’aeroporto di Amman. Fortunatamente, poco dopo la fuga del beduino furbacchione (per non dire altro…), Marika riceve un passaggio gratuito su un calesse, mentre io continuo la mia camminata facendo per l’ennesima volta una decina di chilometri complessivi di buona e salutare ginnastica.
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