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CAMMINARSI DENTRO (305): I miei emblemi: il silenzio

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 13 novembre 2011

CAMMINARSI DENTRO (305): I miei emblemi: il silenzioTutto ciò che di buono e di interes- sante poteva esser detto del silenzio è stato detto, e natu- ralmente non abbia- mo ancora finito di dire gli innumerevoli sensi che racchiude. E’ nata perfino un’Accademia del silenzio!

Delle modalità, le posture, gli atteggiamenti che possiamo adottare per ‘esprimere silenzio’ mi interessa particolarmente l’attitudine compunta e preoccupata di chi sceglie di non parlare per evitare l’esplosione di conflitti insanabili, quando la ‘situazione’ sia in qualche modo compromessa da incomprensioni gravi, fraintendimenti accumulati, rigidità ‘storiche’.

Nelle relazioni umane bisognerebbe esser laici, cioè non portare nella relazione nessuna ‘causa’ o ideologia o visione del mondo: bisogna essere scettici, disincantati, completamente vuoti.

Non si vive la pienezza dell’Essere se non nel Vuoto (Raimon Panikkar)

Bisogna svuotarsi all’occorrenza, per far posto all’altro, per stabilire con comodo quanto spazio poi riservargli nel proprio ‘spazio vitale’.
O meglio, si tratta di sospendere ogni giudizio, anche ciò che di più sacro ci guida nell’azione. Se non facessimo così, sarebbero possibili le amicizie stellari che talvolta la vita ci offre in dono tra assolutamente diversi? E’ tra lontani che spesso ci si intende meglio!

E’ forse lecito dire che ogni vera cultura comincia con il fatto che l’uomo si ritrae. Non si spinge avanti, non afferra e rapisce per sé, ma crea quella distanza dove, come in uno spazio libero, può apparire chiaramente la persona con la sua dignità, l’opera con la sua bellezza, la natura con la sua potenza di simbolismo.ROMANO GUARDINI

La vita schiva offre i suoi vantaggi: non si richiede una ‘fuga’ o un ‘ritiro’ dal mondo, per compensare torti e delusioni. L’uomo schivo sa già cosa sia mondo e non è mai portato a confonderlo con la vita, che procede sempre per le sue strade, non rinunciando ad affermare il suo principio. Thanatos non smetterà mai di chiedere ‘troppo’. E’ importante non lasciarsi sedurre dai suoi richiami e ripiegare nella rinuncia fine a se stessa. Piuttosto, come ci ha insegnato Massimo Cacciari, ognuno di noi nel corso della vita ha da realizzare la propria ‘ascesi fondamentale’. Conoscerla e saperla realizzare è la forma di saggezza più alta. Muovere verso se stessi è propriamente questo: arrivare a comprendere la cifra del proprio destino, cioè diventare ogni giorno di più se stessi, realizzare la propria natura, rendere ‘reali’ tutte le proprie possibilità. Nell’osservarsi vivere soltanto riusciamo a comprendere. Questo è ciò che chiamiamo conoscenza di sé.

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Il silenzio di Füssli significa per me arte di tacere. Di fronte alla parola dell’altro la mia cessa: sono in ascolto. Significa anche meditazione, raccoglimento, attenzione…

Ma resta da dire del non detto delle emozioni, del non detto del sesso e della droga (non detto, non ineffabile o inesprimibile!): ci torneremo su. Il silenzio della morte è stato interrogato. Foscolo ci ha insegnato che è possibile continuare il dialogo interrotto. Io lo chiamo custodire nel proprio cuore la voce e tutto il resto. Il silenzio delle vittime, dei poveri, della natura… delle donne. Il silenzio dell’anima, di fronte alla sconfinata bellezza della natura. Il passaggio al bosco, come ascolto delle sue voci. La contemplazione assorta della bellezza femminile, l’oltranza della bellezza, il suo deinòn (il tremendo, ciò che ci spaventa). Il silenzio che si richiede quando ci si dispone accanto al malato di mente grave, al catatonico, che sembra perso nel nulla di uno sguardo immobile e spaventato. Se proviamo a toccare la sua mano o soltanto a stargli accanto – in silenzio, appunto! – noi possiamo impedire che quella esistenza precipiti nell’insignificanza. E’ quello che Kurt Schneider chiama “aiutare i pazzi ad essere folli”. Occorre – credetemi! – tanto silenzio.

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PRINCIPI NECESSARI PER TACERE

E’ bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio.

Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare.

Nell’ordine, il momento di tacere deve venire sempre prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente.

Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza, ma parlare quando si dovrebbe tacere, è segno di leggerezza e scarsa discrezione.

In generale è sicuramente meno rischioso tacere che parlare.

Mai l’uomo è padrone di sé come quando tace: quando parla sembra, per così dire, effondersi e dissolversi nel discorso, così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri.

Quando si deve dire una cosa importante, bisogna stare particolarmente attenti: è buona precauzione dirla prima a se stessi, e poi ancora ripetersela, per non doversi pentire quando non si potrà più impedire che si propaghi.

Quando si deve tenere un segreto non si tace mai troppo: in questi casi l’ultima cosa da temere è saper conservare il silenzio.

Il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita non è virtù minore dell’abilità e della cura richieste per parlare bene; e non si acquisisce maggior merito spiegando ciò che si fa piuttosto che tacendo ciò che si ignora. Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo: è una lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli.

Il silenzio può talvolta far le veci della saggezza per il povero di spirito, e della sapienza per l’ignorante.

Si è naturalmente portati a pensare che chi parla poco non è un genio, e chi parla troppo è uno stolto o un pazzo: allora è meglio lasciar credere di non essere genii di prim’ordine rimanendo spesso in silenzio, che passare per pazzi, travolti dalla voglia di parlare.

E’ proprio dell’uomo coraggioso parlare poco e compiere grandi imprese; è proprio dell’uomo di buon senso parlare poco e dire sempre cose ragionevoli.

Qualunque sia la disposizione che si può avere al silenzio, è bene sempre essere molto prudenti; desiderare fortemente di dire una cosa è spesso motivo sufficiente per decidere di tacerla.

Il silenzio è necessario in molte occasioni; la sincerità lo è sempre: si può qualche volta tacere un pensiero, mai lo si deve camuffare. Vi è un modo di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza apparire tristi e taciturni, di non rivelare certe verità senza mascherarle con la menzogna.

ABATE DINOUART, L’arte di tacere (1771)

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