Prima c'è stato il caso dei candidati indipendenti del Bdp, il Partito curdo per la Pace e la Democrazia, bloccati per qualche giorno dall'Alta Commissione Elettorale con un cavillo legale con una decisione che ha scatenato durissime proteste nel sud-est del Paese a maggioranza curda. Il segretario del Bdp, Nurettin Demirtas, ha accusato l'Akp e il premier Erdogan di aver organizzato una manovra politica per prendere il sopravvento nella regione. Pochi giorni dopo, guerriglieri curdi del Pkk hanno attaccato un convoglio di dirigenti dell'Akp che tornavano da una manifestazione politica con Erdogan, provocando la morte di un agente di polizia. Quindi, il fondatore del Pkk, Adbullah Ocalan, ha fissato il 13 giugno come data ultima per avviare un programma di riforme per la minoranza curda minacciando, in caso contrario, di scatenare l'inferno nel Paese.
Ai primi di maggio sono state arrestate per corruzione una quarantina di persone nelle province di Smirne e Aydin, storicamente governate dal Chp, il Partito repubblicano del Popolo, principale voce dell'opposizione erede del padre della patria Kemal Ataturk. Umut Oran, vice presidente del Chp, non ha dubbi: si è trattato del tentativo di mettere il partito in cattiva luce a poche settimane dal voto, proprio mentre era dato in risalita nei sondaggi. Questa settimana, invece, è stata la volta del Mhp, il partito nazionalista di orientamento laico conservatore che alle elezioni del 2007 aveva conquistato il 14%. Due suoi dirigenti, candidati alle prossime elezioni, si sono dovuti dimettere dopo che su internet sono circolati video in cui avevano rapporti sessuali con ragazze molto giovani. Il leader del partito, Devlet Bahceli, ha indicato senza mezzi termini l'Akp come mandante.
Più di una “vittima” ritiene che dietro le “rivelazioni” che rischiano di creare politico avvelenato e sempre più teso man mano che la campagna elettorale entra nel vivo, ci siano l'Akp ma anche la confraternita islamica di Fetullah Gulen, il filosofo autoesiliatosi negli Usa, ma molto vicino al governo Erdogan, considerato dalla parte più conservatrice del Paese una guida spirituale, mentre la parte laica lo giudica un nemico della Turchia moderna. Erdogan ha liquidato le insinuazioni dicendo che i suoi oppositori dovrebbero imbarazzarsi anziché fare accuse infondate, mentre Gulen, in un articolo pubblicato da Zaman, il quotidiano filogovernativo di cui è l'editore, ha affermato che nel Paese è in corso una campagna diffamatoria contro coloro che fanno il massimo sforzo per diffondere la cultura turca nel resto del mondo.
Sia come sia, non va comunque dimenticato che in Turchia la soglia di sbarramento è al 10%: per poter continuare a governare da solo, Erdogan ha bisogno che l'opposizione resti il più possibile fuori dal parlamento o sia comunque ridotta ai minimi termini. Un altro quadriennio di governo sostenuto da una maggioranza forte è ciò di cui il premier ha bisogno per condurre in porto le riforme istituzionali avviate in questi anni, ridurre il potere dei militari e dell'establishment kemalista e puntare poi alla presidenza della repubblica. Ciò non significa, ovviamente, che dietro gli scandali ci siano Erdogan o i suoi uomini, ma è naturale che chi osteggia il disegno politico del premier e tema l'islamizzazione della Turchia pensi questo. Anche da noi c'era chi diceva che a pensar male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca.